17 febbraio 2008

Control - Il film



Lo dico subito. Control mi ha deluso.
Non so cosa esattamente mi aspettassi da un film biografico sul cantante dei Joy Division, ma pensando all’importanza della loro musica è difficile farsi piacere un racconto che mette a fuoco in maniera realistica soprattutto le piccolezze di una vita in fondo ordinaria e sfortunata come quella di Ian Curtis.

Perché il film parla poco di musica, molto dei rapporti personali di Curtis e in questo senso risente del fatto di essere tratto dalla biografia scritta dalla moglie Deborah.
Gli attori sono molto rassomiglianti, le ri-esecuzioni live sono volenterose (quasi tutti i brani sono risuonati dal vivo dagli attori), i set dei concerti sono ben ricreati.
Però certe interpretazioni, certe mimiche sfiorano l’imbarazzante. Del resto come riproporre in modo credibile la terribile dead fly dance, la danza della mosca morta, di Curtis? O il suo sguardo perduto? Guardateli bene qui sotto nel ’79 alla BBC e mi capirete.


Nel film alcuni personaggi cardine della carriera dei Joy Division sono quasi assenti: il produttore Martin Hannett, vero creatore del sound dei Joy Division (che pure fu personaggio spinoso e contraddittorio) appare solo per un attimo, antipatico e cinico.
Sembra che il regista Corbijn abbia voluto soprattutto fare un lavoro di ricostruzione biografica, compreso le belle inquadrature che rimandano alle sue (del regista) allora magnifiche fotografie in b/n. Manca però un guizzo di originalità. Tutto scorre – forse volutamente - nella piattezza documentaria in bianco e nero della grigia Manchester di inizio Anni Ottanta. Neppure angosciante. Solo piatta e grigia.
Il che spiega forse perché i New Order (con mio allora sommo disappunto e disdegno talebano) si fossero quasi dati alla dance dopo gli anni Joy Division (vedi Temptation), ma non spiega perché del film resti poco a fine visione.

In definitiva ho trovato tre quarti del film noiosi. Solo il finale si riscatta attraverso la tensione creata dal rotolare degli eventi verso la tragedia finale. Non è un caso forse che il momento più commovente è l’unico in cui si ascolta la vera Atmosphere.

Preferisco ricordare i Joy Division per la voce unica di Curtis e per i suoi testi, per le ritmiche cavernose e ossessive di Hook e Morris, per la chitarra (spesso fuori tempo e un po’ scordata) di Sumner. Per la produzione implosa e riverberata di Martin Hannet. Insomma per la musica. E forse per la gioia che provo tutt'oggi a toccare la nera copertina grinzosa di Unknown Pleasures.
Come nella migliore iconografia rock, il fatto che il protagonista sia mancato in modo così drammatico ha contribuito e contribuisce a ingrandirne il mito, ma quello che oggi resta sono Unknown Pleasures e Closer, probabilmente i due più influenti album rock degli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta.
Quando ancora le parole post punk (sigh) o gothic (aargh) non esistevano.

Bella la versione, sbarazzina prima, inquietante poi di Shadowplay dei Killers, sigla di coda del film.

To the center of the city in the night, waiting for you.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Peccato per il film, ma consolati Arimondi, i "Ciclisti" hanno vinto anche il derby.
Ma porca...

Wilson

Anonimo ha detto...

A me è piaciuto..
però io non ho il tuo "bagaglio" con cui poter confrontare la pellicola. per cui sono sicuro che la tua delusione sia motivata.

darkste ha detto...

Io ho letto il libro.
il film mi rifiuto e dopo aver letto che hai scritto, no non lo guarderò.

I Divisione Gioia sono una sorta di Dei. Ian Curtis innegabilmente é inebriante. E a me piace continuare a vivere nell'amore viscerale che mi fa piangere quando li ascolto.

isolation.

Arimondi ha detto...

Forse mi sbaglio, ma il film non aggiunge nulla alla magia. Un valore quasi documentaristico.

Madison, quella foto ha un sapore vagamante mancuniano primi Anni Ottanta... :-)

Anonimo ha detto...

scattata la sera del mio 26esimo compleanno nel locale di teo..
grazie.