28 gennaio 2010

Tagli che separano

Il mio amico M. ha avuto un figlio. La cosa mi rende naturalmente felice perché gli voglio bene.
Mi ha raccontato che, oltre che assistere al parto di sua moglie in acqua, gli hanno dato il compito di tagliare il cordone ombelicale.

Non mi ero mai fermato molto a riflettere su questo atto, in genere affidato a medici o levatrici, né sapevo che fosse permesso ai padri farlo.
Mi sembra un gesto dal grande valore simbolico, per il nuovo nato e per sé. Il padre rende cosciente se stesso e inconsciamente il bambino che suo compito sarà anche accompagnarlo verso l'indipendenza e l'affrancamento, tagliando fin dall'inizio il legame profondo - in questo caso, fisico - che il piccolo ha con i genitori.
Quasi una iniezione di realismo.

Un giorno mio padre mi disse chiaramente che non intedeva più contribuire al mio mantenimento. Ero un ragazzo adulto, avevo finito l'università. Era ovviamente giusto così.
Ho scoperto dopo un po' di tempo quanto fu utile la sua decisione per la mia crescita personale. Ma io ci rimasi comunque male.

Forse, mi chiedo ora sorridendo, mi avrebbe ferito di meno se il mio cordone ombelicale fosse stato tagliato tanti anni prima non da uno sconosciuto in camice bianco ma da lui stesso? E' un dubbio che mi sfiora lieve in questi giorni.

27 gennaio 2010

Il Giorno della Memoria e i giorni di G.

Non amo molto le commemorazioni e gli anniversari imposti. Ne riconosco razionalmente il valore simbolico (solo nel caso in cui abbiano per me qualche valore), mi distolgono per un attimo dai pensieri quotidiani e mi rendono più che altro contento se mi procurano un giorno di ferie in piu...

Però quest'anno sento di dover scrivere qualcosa in merito a questo Giorno della Memoria.

Il mio pensiero va a quelle persone che si prendono sulle spalle il carico faticoso della Memoria. Sono le persone che hanno vissuto i campi di sterminio, con perdite personali indicibili e che oggi si rendono testimoni in prima linea di ciò che è stato commesso da un parte dell'Europa civilizzata ai danni di loro consimili durante gli anni della prima metà del Novecento.
Credo di poterne scrivere brevemente, perché conosco una di queste persone.

G., uscito da quell'Inferno, ha continuato a vivere, si è costruito coraggiosamente una famiglia con dei figli, ha vissuto una propria vita perfettamente inserito nel tessuto della società, cercando di essere il più normale possibile e di vivere normalmente, nonostante l'accaduto.
Come molti altri ha vissuto per anni portando dentro di sé il ricordo, cercando tuttavia di far in modo che questo ricordo non condizionasse troppo la vita propria e dei suoi cari. Per anni - da ciò che mi ha raccontato - non ha fatto granché per parlarne pubblicamente, un po' per auto-protezione, un po' perché c'erano altri testimoni a ricordare.

Oggi però le persone che sono in grado di testimoniare sono per motivi anagrafici sempre meno. E lui ha cominciato a sentire il bisogno di raccontare.
Quasi un imperativo interiore del tipo "se non c'è nessuno che può farlo, credo di doverlo fare io".

In questi giorni era quasi in "tourneé". E' stato chiamato da tutte le parti d'Italia per ricordare, per raccontare. Associazioni, Scuole, Centi Culturali, Comuni, tutti ad invitarlo per ascoltare, per intervistare, per filmare.
Credo che nessun possa immaginare quanto deve essere difficile ricordare quanto è accaduto e doverlo ogni volta verbalizzare davanti ad estranei. Dover sacrificare la propria intimità in nome di una "missione".

Per questo dedico questo povero e stringato pensiero del Giorno della Memoria a G., immaginando quanto deve essere stanco oggi e augurandomi si possa riposare di un meritato riposo accanto alle persone cui vuole bene (sempre che lui, uomo dall'energia invidiabile, sia capace di fermarsi a riposare).

Al contempo spero si senta molto fiero di sé.
Io, per quanto può contare, sono fiero di lui e sono certo che siamo in molti ad essere fieri e grati a testimoni della Memoria come lui.
Per quanto può servire, è giusto che G. se lo senta dire. Sperando non sia turbato da questa ulteriore intrusione nella sua sensibilità.

Proprio in questi anni, in cui mi rendo conto di quanto la memoria da tramandare sia importante per i nostri figli, per evitare o cercare di evitare gli orrori provati dall'ignoranza e dall'odio che l'uomo sa commettere.

10 gennaio 2010

La (mia) musica del 2009 (II)


Comincerei con dodici canzoni, tutte uscite più o meno quest'anno...

Yeah Yeah Yeahs
Hysteric - da It’s Blitz! (2009)
Sì, sono un fan di Karen O (vedi foto sopra), smodata cantante degli Yeah Yeah Yeahs.
Anche quando fa la musica di una marca di scarpe.
It's Blitz! è pe me il miglior album del 2009. Prodotto da Nick Launay (Public Image Ltd, Gang of Four, Jam) e David Andrew Sitek (TV on the Radio) ripercorre strutture strumentali che sono state una costante di quest’anno: grande utilizzo di sintetizzatori in stile Anni Ottanta declinati all’ennesima potenza e utilizzati in massiccia sovrapposizione.
Probabilmente il chitarrista Nick Zinner avrà anche fatto qualche sacrificio a rinunciare ai suoi soliti riff taglienti, che qui sono spesso filtrati da suoni ultra-sintetici, ma secondo me ne è valsa la pena.
Non rinunciano a inserire ballate come Hysteric in cui Karen O resce ad esprimere il meglio della sua voce anche più dolce del previsto (procuratevi la versione dell'album con le quattro versioni acustiche). E' il brano che preferisco. Ma anche il primo singolo Zero e l'ipnotica Shame and Fortune non sono da meno.

EditorsPapillon - da In This Light and On This Evening (2009)
Similmente agli Yeah Yeah Yeahs, anche se su un terreno di minore tensione, tra i gruppi alternative di questi anni gli Editors sono tra i pochi che hanno avuto il coraggio di dare una svolta stilistica significativa ai loro suoni, invadendo il loro rock “wave” di ingombranti ma potenti bordate di sintetizzatori e lasciando un po’ in disparte per una volte le chitarre (che a me erano sembrate un po’ invadenti nel loro fortunato album precedente). Tutto ciò fa scordare la forse eccessiva enfasi vocale, che pure è una delle loro cifre espressive.
Visti dal vivo con i miei figli un mese fa. Al concerto con loro, una delle cose più belle del 2009.

Florence + the MachineGirl with On Eye - da Lungs (2009)
Un rock blues con la bella e potente voce di Florence Welch e i suoi Machine. Ne sentirermo parlare, dato che sta virando dall'alternative al pop più raffinato.

Pearl JamJust Breath – da Backspacer (2009)
Backspacer è un disco che si fa apprezzare dopo ripetuti ascolti. In particolare mi piacciono i brani di metà album. Just Breath è la ballata che ascolti alla mattina per cominciare bene la giornata.
I don’t want to hurt. There’s so much in this world that makes me bleed (…) Just Breath" Semplicemente respira. Qui anche dal vivo.

U2
Breathe - da No Line On the Horizon (2009
Ho visto gli U2 dal vivo a San Siro. Mi sono divertito ma nulla di più (era di gran lunga più importante essere lì con mio figlio). Lo spettacolo di gigantismo aracnideo non mi ha del tutto convinto. In compenso ho imparato ad apprezzare l’album prodotto da Eno e Lanois dopo ogni ascolto. Sono le trame e gli strati sonori che avvolgono la maggior parte dei brani a fare la differenza. Non a caso Eno per la prima volta firma tutte le composizioni, dimostrando una determinante partecipazione creativa.
Breathe è il mio brano dell’album. Nascosto laggiù al penultimo posto del CD, tra le due ballate, ha una urgenza esplosiva e molte aperture melodiche, proprio come piace a me. Qui anche in versione smagliante al David Letterman Show dove Bono dimostra che la voce ce l'ha ancora, eccome.
E anche qui: “Respira”...

Il Teatro degli OrroriPadre nostro - da A sangue freddo (2009)
Non molti suonano così in Italia. La vocalità molto particolare di Pierpaolo Capovilla (unico paragone, con i dovuti distinguo, Carmelo Bene), il sound è un wall of sound spigoloso e senza compromessi. I testi, diretti e disurbanti. Sono il Teatro degli Orrori.
Padre nostro è il mio brano preferito (ha molto di De André sottopelle), ma la canzone che resta forse più impressa, grazie anche alla coproduzione con i Bloody Beetroots che rende il suono molto elettronico, è Direzioni diverse. Ma non ascoltatela se siete in crisi con la vostra bella: "Sarebbe stato bello invecchiare insieme. La vita ci spinge verso direzioni diverse (...) Quanto ti manca l’amore…”.

Fabri FibraSpeack English! Da Chi vuol essere Fabri Fibra…. (2009)
Fabri Fibra è un interprete controverso, capace di provocare ammirazione incondizionata o repulsione. Difficile trovare un over-30 che ne parli bene, tanto meno se è genitore (una volta la madre di una compagna di mio figlio mi ha detto: fammi incontrare Fabri Fibra che gliene dico io quattro). Proprio per questa sua capacità di spiazzare, di fare critica sociale ma anche di accettare il meccanismo del marketing in barba a certi pregiudizi pseudo progressisti, la capacità di sdoganare con "stile" l’”ignoranza” e il sessimo che ci pervade, per la capacità di sostenere a testa alta la propria spocchia (molto hip hop in questo), ma soprattutto per la sua creatività e maturità nel costruire i testi e abbinarli a basi musicali molto efficaci, trovo che Speack English! sia pezzo che oltre ad aver accompagnato la mia estate, sia brano degno di nota.

Kid Kudi – Make Her Say - da Man on the Moon… (2009) (nessun video decente disponibile in rete...)
Una specie di rivelazione questo album hip pop di Kid Kudi. Abbandonato (finalmente) il gangsta rap ecco questo giovane intellettuale afroamericano che - pur è inserito in pieno nel movimento hip hop (è un protetto di Kanye West) - recupera suoni molto più europei e propone un disco vario e piacevole, pieno di influenze variegate, con arrangiamenti minimali ma anche con ampio uso di archi ed elettronica e ritornelli melodici. E’ dal tempo dei De la Soul che non mi divertivo così con un disco soul. Il brano in questione è divertente nell’uso della voce campionata niente meno che quella burlona di... Lady Gaga ed è strano che non abbia avuto più fortuna commerciale.

Wolfmother 10.000 Feet - da Cosmic Egg (2009)
Pochi come i Wolfmother riescono a sintetizzare in modo così iperbolico la storia del rock'n'roll. Led Zeppelin, Iron Maden, Deep Purple, la velocità del punk, ma anche Queens of the Stone Age (si ascolti Phoenix). La differenza è che oggi se un ottimo produttore come Alan Moulder (Nine Inch Nails, Placebo, Smashing Pumpkins e così via) mescola la distorsione chitarristica con qualche campione elettronico, l'effetto stacca da terra la seggiola su cui sei seduto.
Sound più che brillante, chitarre roventi, produzione perfetta. Non per palati fini, ma da ascoltare a volume massimo in cuffia con staffilate di chitarre da sordità permanente.

Oasis Falling Down - da Dig Out Your Soul (2008)
Inizia come una ballata alla Oasis con stacchi melodici e ritmici degni del meglio dei due Gallagher, poi sfiora la distorsione. Eppure è una perfetta canzone pop. Ma ciò che preferisco è il video, magistrale nella sua decadenza e visione sprezzante del mondo dell'aristocrazia reale britannica (con un cameo chissà come autorizzato di Prince Charles...) e con l'occhio cinico dei due fratelli, che neppure si degnano di salutare la Principessa Triste.
Musicalmente ciò che colpisce di più è la qualità di amalgama dei suoni, gli strati di sonorità che sovrappongono.

La RouxIn for the Kill - da Laroux (2009).
Pop puro e semplice, stupidino e spocchiosetto. I Laroux sono un duo femminile con una frontman che sembra un maschiaccio frangettone bimbominchia faccia da schiaffi. Un tuffo negli Anni ’80 del techno pop (Soft Cell, primi Depeche Mode) con ganci melodici irresistibili e synth "zanzaroni" a go-go. I video sono un misto kitsch di colori sgargianti, vestiti improbabili, ambienti Blade Runner e architetture sghembe.
Niente male anche l’altro singolo Bulletproof, con un video mezzo dadaista e mezzo Tron.

Kerli Walking on air - da Love is Dead (2008).
Sempre nel filone pop da classifica, la canzone di Kerli contiene un simpatico germe di inquietudine sonora electro pop.
Anche lei un bel po' Mary Poppins bimbaminchia da sculacciare, ma i sintetizzatori e il ritornello mi piacciono un sacco.

Continua...


09 gennaio 2010

La (mie) canzoni del 2009 (I)

Le liste sono importanti, ci insegna Umberto Eco nel suo ultimo libro (Vertigine della lista, Bompiani, 2009).
Le playlist di musica anche di più, vi suggerisce Arimondi...

Nel 2009 ho ascoltato tanta musica quanta mai mi era capitato negli ultimi anni. Una felice contingenza lavorativa fa sì che sia agevole procurarmi musica, sia del presente, sia del passato. Da parte mia, ci metto impegno e piacere nell’ascoltarne il più possibile, di tutti i generi, armato di ipod e di voto/playlist da 1 a 5… Ogni tratto di metropolitana va bene...

La chiusura del primo decennio del secolo si avvicina e con essa la tentazione di trarre qualche conclusione su questi primi anni dieci. Con un po’ di sgomento viene da dire che non mi pare di cogliere pietre miliari. Poi mi convinco ad aspettare ancora un anno a trarre conclusioni radicali.
Tuttavia, pur astendenomi da fare nomi e cognomi, è indubbio che la lista dei capolavori non appare lunga, per ora.

Questo può voler dire semplicemente che sono vecchio, ormai poco aggiornato o incapace di adattarmi ad altri generi magari più creativi (hip-hop, world music?) o che le mie orecchie sono stanche di feedback. Ma potrebbe voler dire anche che il macro-genere “rock” mostra un po’ la corda in quanto ad inventiva, come si è anche a volte paventato con coloro di cui ho la fortuna di parlare di queste cose, in rete e fuori.

D’altra parte è indubbio che il rock è da tempo diventato un linguaggio mainstream capace di catalizzare enormi consensi.

L’urlo Long live rock degli Who si è fatto realtà e il “rock” (il virgolettato non è casuale) si è ormai assicurato un florido futuro commerciale, potendo contare sul cuore e sulle finanze di migliaia di signore e signori di mezza età che adorano andare allo stadio con gli accendini accesi per ricordare i bei tempi che furono e farsi magari qualche canna di nascosto dai figli.
Vasco Rossi, Bob Dylan, Springsteen, U2, REM, Radiohead. Tutto va bene, per celebrare il rito delle ribellione che fu. Presto i Muse o qualcun’altro, per generazioni più giovani di cinque, dieci anni.
Siamo in una fase della storia del rock che potremmo definire “classicista”.
Il panorama alternative, con il suo pubblico affezionato, più attento ed esigente di quello mainstream, produce ottime cose, ma comunque spesso rivolte a forme e sonorità del passato.

Quello che posso dire è che il suono è sempre più smagliante. La qualità della “produzione” è cresciuta più della qualità creativa. Album come i nuovi Oasis, U2, Wolfmother, Muse permettono di vivere esperienze fisiche, non solo sonore ed emotive. Come se in una fase in cui in linguaggio musicale è stanco, stia ai produttori il compito di inventare - grazie alla tecnologia - soluzioni capaci di supplire alla carenza creativa.

Detto questo, l'elenco dei brani per me più importanti e piacevoli del 2009 è composta anche da molte canzoni che ho scoperto o riscoperto dal passato. Come sempre, la scelta non è solo qualitativa ma anche legata ai momenti della vita, per fortuna. Per questo, quest’anno la scelta è sostanziosa.

A domani, dunque, per la lista.

Aural Pollution

Spesso si parla di inquinamento acustico non solo per indicare l'eccesso di rumore urbano che ci circonda nelle grandi città o in vicinanza di centri industriali, ma anche per l'eccesso di musica imposta che ci circonda in molto luoghi della nostra vita quotidiana (supermercati, librerie, locali pubblici) e interferisce sul nostro paesaggio sonoro. Si tratta della cosiddetta Muzak, o Piped Music.

Un sito che in Inghilterra raccoglie segnalazioni, fornisce suggerimenti e informazioni contro l'Aural Pollution provocato dalla muzak è No Muzak.

Emmaus

Riesco sempre a rimanere rapito dalla capacità di Alessandro Baricco di colpire le ombre oscure del sentimento con la sua scrittura al contempo sintetica e profonda. Così ho letto il suo ultimo romanzo breve Emmaus (Feltrinelli, 2009) tutto d'un fiato.

Devo però dire che, dopo Oceano mare e Senza sangue, il meccanismo dello spiazzamento ottenuto attraverso scarti nell’abisso del dolore risulta un po' logoro.

Anche nella nuova opera Baricco sembra mirare a far sanguinare il suo lettore in modo spettacolare, usando gli stessi strumenti con cui sventra i suoi personaggi, colpiti dal destino o dall’influenza di altri uomini egualmente feriti e imperfetti.

C’è altro nel libro: la crisi delle certezze di un gruppo di cattolici integralisti, qui smascherati senza pudore nelle loro contraddizioni al limite del fanatismo, c’è il senso di vuoto delle nuove generazioni (Galimberti?), c’è il tema del della ipocrisia borghese nei confronti della prostituzione, del travestitismo (chissà se pre o post Marrazzo) e della diversità, e c’è il tema del senso di colpa dei figli nei confronti dei genitori e delle loro aspettative:

Ci disarma infatti l’inclinazione a pensare che la nostra vita sia, innanzitutto, un frammento conclusivo della vita dei nostri genitori, solo affidato alla nostra cura. Come se ci avessero incaricato in un momento di stanchezza di tenere un attimo quell’epilogo per loro prezioso – ci si aspettava da noi che lo restituissimo, prima o poi, intatto. L’avrebbero poi ricollocato a posto, formando la rotondità di una vita compiuta, la loro. Ma ai nostri padri stanchi, che si erano fidati di noi, noi restituiamo il taglio di cocci affilati, oggetti scappati di mano. Nel sordo strisciare di un simile fallimento, non troviamo il tempo di riflettere, né la luce di una ribellione. Solo l’immobilità sorda della colpa. Così tornerà nostra, la vita, quando sarà ormai troppo tardi.” (pag. 100).