11 dicembre 2008

Un buon giorno

Oggi è un buon giorno per il mio ego musicale e non solo.

Ho conosciuto RB qualche settimana fa. Già allora tornai a casa dicendo che era stato un giorno importante.
RB - proprio quel RB - è da sempre il mio giornalista musicale preferito. Un uomo discreto e gentile come i suoi articoli sempre documentati, pieni di esperienza musicale e di ascolti vissuti. Ricchi di informazioni quando scrive di musica che amo, impeccabili anche quando parla di musica che detesto.
Incredibilmente per me, RB non è mai diventato un giornalista popolare come tanti altri. Forse perché non ha una colonna fissa su un quotidiano, non ha un blog sponsorizzato o perché non dirige riviste musicali hype. Forse perché non ha scelto un unico genere.

Il suo "Pop inglese", uscito nel 1974 e scritto insieme ad un alto paio di critici musicali di allora, mi guidò sedicenne e ad orecchie aperte attraverso i meandri della musica pop inglese. Fin dall'inizio il mio gusto virò decisamente verso il rock inglese e le Telecaster, guardando con un certo fastidio la prosopopea di quello americano con le sue Gibson Les Paul. Poi arrivarono il punk e la new wave.
Retrogusto che tuttora domina il playcount del mio Ipod e di cui non mi pento per nulla, anzi.

Su un suo libro, oggi, ringraziamenti al sottoscritto per una normalissima e piccola cosa di lavoro.
Son (piccole?) soddisfazioni.

25 novembre 2008

Il diritto al lavoro

Forse suona presuntuoso e fuori luogo, ma c'è una cosa oggi che mi rende felice, un po' fiero di me e degna di essere l'oggetto di questo nuovo post, in questi tempi un po' complicati per me.

Sono riuscito ad assumere una persona che avrebbe perso il lavoro lunedì prossimo.

Intendiamoci, la persona serve al mio gruppo di lavoro ed è la conseguenza di un evento molto triste. Tuttavia, non è poco per i tempi e per il settore in cui lavoro.

E poi perché poi c'è sempre un bisogno assoluto di immaginare di ricostruire, soprattuttto quando il caso sembra accanirsi con la sua spietatezza.
Forse l'unica cosa che ha permesso la sopravvivenza del nostro genere nei milioni di anni: un incredibile spirito vitale e molta costanza.

17 novembre 2008

Musica al quadrato / Amore



PJ Harvey e Nick Cave, Henry Lee.

13 novembre 2008

Rude and Nasty



PJ Harvey, Man Size, da Rid of Me.

11 novembre 2008

Paternità politically incorrect

Dialogo sms tra due padri acculturati, di sinistra, un po' stanchi e affranti:

" Tempi postmoderni. Con mio figlio la comunicazione migliore è via sms. A parole invece subito litigi e urla".

"Con il mio grande solo vaffa: a voce, telefono, sms. Sob".


"No way? Beat on the brat!"

"Si! With the baseball bat!! E aff... Galimberti e i Baustelle!"


(se non non fosse chiaro a tutti, è un dialogo ironico).

10 novembre 2008

Gli odori dell'esistenza

Da sempre mio figlio piccolo ha una sensibilità particolare per gli odori.
Quando era infante notammo questa caratteristica perché inseguiva letteralmente il profumo di sua mamma, ci faceva notare profumi e odori che non avevamo notato o che non percepivamo, oppure si accucciava tranquillo vicino ad oggetti casalinghi, appoggiandovi il naso sopra con lo sguardo perso e beato.
Questo sua dote era rimasta un po' dormiente in questi ultimi anni.
Anche una visita a Grasse ad un profumificio non sembrava averlo particolarmente impressionato.

Stasera, durante una delle nostre "buonanotte" che ultimamente si sono rianimante dei racconti dell'infanzia e dell'adolescenza paterna, mi ha raccontato che una delle cose che più gli piace fare è "annusare l'odore delle persone per strada" quando gli passano accanto.
Non è tanto importante che il profumo sia buono, quanto che il profumo ci sia.
Può essere soave come quello di una bella ragazza che sa di violetta oppure forte e intenso come l'odore di un muratore appena sceso dall'impalcatura. L'importante è che ci sia, a volte disgustoso e acre, altre volte gradevole, ma soprattutto presente. Il piacere consiste nel riempire le narici di odori e profumi, sentire che le persone trasmettono una "umanità".

E' invece molto deluso da quelle persone che passano e, come dice lui, "non hanno aria". Sì, perché le persone di solito quando passano, muovono l'aria e così facendo espandono il loro profumo nelle vicinanze affermando, immagino io, la loro "essenza", il loro "calore umano".
Invece, alcuni esseri umani misteriosi (e d'ora in poi per me un po' inquietanti) "non muovono l'aria".

Che il muovere l'aria sia il segnale di qualche qualità morale nascosta? Del tipo, diffidate da coloro che non muovono l'aria al loro passaggio?
Siete avvertiti. Fidatevi dell'innocenza dei bambini. Annusate e state accorti.

09 novembre 2008

Yes, We Are Different


"Yes we are different" mi appare un'iniziativa da condividere. E' giusto, indispensabile, far sentire la propria voce quando ne viene data l'occasione.

Iniziativa che "nasce da una frustrazione da un sentimento di vergogna ed indignazione nei confronti dell'inciviltà e della volgarità della politica italiana, e naturalmente delle esternazioni del Presidente del Consiglio.
Noi non ci riconosciamo e vogliamo marcare la differenza".


Fate click sul link:
Yes, We are Different

03 novembre 2008

Everyone has their price

Il cinico impersona il cinico e fa la figura del pirla (però più ricco).


29 ottobre 2008

Come un chiodo stanco

Lunedì mattina, T. (l'iniziale è di fantasia) alla sua scrivania non c'è.
Capita. Ci si può dimenticare di avvertire l'ufficio del personale.

Alle 16 una telefonata informa che T. è mancato. Improvvisamente, a casa, per un malore, senza motivo, a 59 anni. Moglie, figli.

Nulla di buono. Solo una nube oscura che circonda i colleghi e me. Non ci sono molte parole.
Unico pensiero non negativo, la sensazione di essere fortunati a poter guardare il cielo fuori e di esserci. Pensarlo in silenzio e ripeterlo alle persone intorno, per farsi coraggio e per riempire il silenzio.

Poi la mattina successiva ritrovarsi proiettati nel mondo di una famiglia che non avevi mai avuto modo di conoscere. E notare- senza troppa sorpresa in verità - che per T. il lavoro era una formalità da adempiere, perché cose per lui molto più importanti lo attendevano là fuori. La vita in parrocchia, il coro, la solidarietà, l'impegno all'interno d una comunità cristiana molto unita, tra un gruppo di persone che ora fanno un quadrato di amore intorno alla sua commemorazione e al suo ricordo.
Intorno a te pochi volti conosciuti, ma soprattutto una moltitudine compatta di sconosciuti così simili tra loro, che circondano e difendono la famiglia con un affetto sereno, quasi sorridente nella accettazione di un "Dio l'ha voluto con sé", con parole profonde, sentite e determinate.

Ammirazione e pietas. Ammirazione e pietas ma anche stupefatta invidia per chi ha la fortuna di volere o riuscire a dare una ragione superiore ad un evento così assurdo.
Evento per il quale è evidente che non esiste alcuna ragione metafisica, ma solo il meccanismo di una macchina umana che ha smesso di funzionare, stop.
Come il dente di un ingranaggio del motore di un aereo che va a schiantarsi.
Come un chiodo che decide una notte di staccarsi dal muro e far piombare quadro e cornice a pezzi al suolo.

E' vero che credo in qualche modo agli angeli (sic), ma questo è troppo. E all'inquietudine e alla rabbia per la perdita prematura e senza senso di una persona che da due anni, con la sua calma, condivideva con te per niente calmo i piccoli problemi quotidiani, si aggiunge l'inquietudine e la rabbia per non riuscire a comprendere queste persone, nonostante io ci provi, davvero.

26 ottobre 2008

Here to stay, hey hey
















Per esorcizzare i quadrivi, comprati oggi appositi appigli apparentemente stabili:
- Traffic - John Barleycorn must die (1970)
- Robert Wyatt - Rock Bottom (1974)
- Ray LaMontagne - Gossip in the Grain (2008)

24 ottobre 2008

Quadrivium

Provare a conciliare in un unico tutto armonico le direzioni contrastanti della propria esistenza.

Come se lavoro, famiglia, passione e creatività volessero per una volta amalgamarsi tra loro per fondare un unico uomo armonico; e non tentare di fuggire ancora per la tangente, come solo un lupo un pò saggio e selvatico ha dovuto imparare a fare.

Perché il tempo non sia più diviso per quattro, ma moltiplicato. Per concentrare l'energia su ciò che conta davvero, dopo averlo scoperto.

Basic instinct


Fermata capolinea metro Linea Gialla, Milano.
Campagna "Progetto Integrazione" del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Raramente si offre da vedere una tale grossolana discriminazione e ignoranza.
Promuovere ciò che dovrebbe essere ed è ovvio, dimostrando solo che chi promuove la pensa diversamente, facendo leva su un regionalismo imbarazzante, primitivo, e su una gerarchia sociale offensiva.
Stia tranquilla Signora Brambilla, "essi" non mordono, anzi, in fondo possono tornarLe pure utili.

Intanto, tre metri sopra, in strada, camionetta dei soldati e auto della polizia pattugliano un quartiere abitato da "pericolosissimi" extra-comunitari.

Che abbia ragione il mio collega: come nei giochi di quando eravamo bambini: "ormai vale tutto".

Basic Instinct (2)


Perché cosa avevate pensato fosse qui a fare?

15 ottobre 2008

School's in!



Iota sottoscritti, properispòmene, enclictiche e proclitiche, insieme al fatto che da quando sono iniziati liceo e medie casa mia sembra ogni sera un gig degli Slipknot, sono scuse sufficienti a tenermi mio malgrado lontano - fisicamente e mentalmente - da questa tastiera.

Verranno tempi più leggeri.

08 ottobre 2008

Global galore













Oggi in ufficio non funzionava più la stampante di rete.
Ho dovuto parlare al telefono con un collega dell'helpdesk a Los Angeles per farla sistemare.

Hey man, my day starts when your day ends...

05 ottobre 2008

Franco Zaio - Cesare Pavese - Last Blues


Sono contento di prendermi il tempo di parlare del CD di Franco Zaio, contenente sette suoi brani composti su poesie di Cesare Pavese. Il CD si chiama Last Blues ed è pubblicato da Devega, distribuzione Venus. Qui si può ascoltarne qualche assaggio.

Franco con questo progetto dimostra di essere ciò che è: persona di grande energia che anima la vita culturale di Genova. Con una modestia e un continuo interrogarsi che gli fanno onore e che traspare ogni giorno dal suo animato e visitato blog o dai suoi sms aforistici con cui puntella e a volte sostiene le mie giornate e quelle dei suoi amici più vicini.

Per un genovese fa uno strano effetto ascoltare i versi Cesare Pavese cantati da un piemontese che vive a Genova. Come mettere il naso in qualcosa di privato che noi, gente abituata alla luce marina e al vento teso, non possiamo capire fino in fondo. Simile specularmente alla perplessità di un Paolo Conte di fronte ai lini e alle vecchie lavande nell’ombra dei nostri armadi.

Ho sempre letto Pavese con questa difficoltà a capire lo spirito piemontese che lo pervade. Solo quella parte di sangue piemontese che mi corre nelle vene sembra mettermi in sintonia con la dignitosa accettazione di un destino umano senza speranza e con una auto-disciplina che solo chi ha a che fare con il Piemonte e Torino può capire.

Il rischio di mettere in musica le poesie di Pavese sono note: l’effetto Fiorello che canta San Martino di Carducci è dietro l’angolo: quell’effetto che incastra forzatamente la metrica poetica dentro alla rigidità della forma canzone con un risultato che nel miglior dei casi è ridicolo, quando non offensivo per la letteratura tutta.

Questo non succede mai (a parte rarissimi casi) nelle canzoni di Last Blues. Con una abilità che non so se accreditare del tutto a Franco o se insita nella forma stessa poetica di Pavese, i versi si incastrano nelle strofe e nei ritornelli con grande naturalezza.

Le desolazione del verso pavesiano quasi contrasta con la dolcezza di un pop nobile, venato da influenze beatlesiane da una parte, ma anche e soprattutto Alternative. Si ascoltano ritmiche e bassi post-punk (Joy Division, The Church), riff alla Steve Wynn chitarre e artigianato alla Elliott Smith, ma su tutto vince sempre lo slancio melodico, quasi radiofonico, dei ritornelli. Bisogna concentrarsi sulle parole per sentirsi colpire allo stomaco, laddove la musica tende naturalmente ad una maggiore leggerezza che rende il tutto fruibile ma mai banale. Comunque sempre teso al cuore.

Zaio suona (quasi) tutto: voce, chitarra acustica, chitarra elettrica, basso, batteria, l’amato tamburello, organo e pianoforte. La cosa rende se possibile ancora più emerito il suo sforzo. Da segnalare anche la partecipazione di Andrea Frascolla con la sua Fender Strato in Come uno che si lasci cadere (il brano più rock) . Fondamentali i cosiddetti finali “suca”: finali “buttati lì”, a conferma dell’amore per la sintesi e l’odio per la prosopopea.

Qualche arditezza armonica e formale in più non sarebbe stata sgradita, così come mi auguro che Franco trovi più occasioni per stendere la sua bella voce, forse qua là un po’ arrugginita da un forzato non costante esercizio. Ma i piccoli nei scompaiono di fronte al coraggio dimostrato nel cimentarsi con un progetto di questo tipo e all’ottimo risultato complessivo: canzoni di grande spessore da ascoltare e riascoltare.

22 settembre 2008

Culturivori

Torno a viaggiare regolarmente con la metro milanese.
Sperimentiamo un po' di podcast. Non si può vivere solo di morningplaylist.

Tra tutti i podcast a portata di mano provo questo di Salvatore Natoli sulla filosofia. Non lo conosco. Anche se ho sentito parlare di neopaganesimo, mi sembra il meno peggio tra un Grillo o un Travaglio (non sopporto chi urla alla mattina), un RadioDj, un Fiorello (non sopporto e basta).

Filosofia in pillole di otto minuti... fa abbasanza ridere no?

Però il filosofo già nei primi otto minuti mi dà una chiave di lettura: come si spiega questa dilagante fame di convegni sulla poesia, sulla letteratura, sulla filosofia che animano le nostre città in questi anni?
Si spiega perché viviamo in un mondo dove il consumo domina tutto.
E il consumo non ha un senso.
Per questo le persone dotate di una qualche curiosità cercano questo senso, e alcune lo cercano nella cultura, laddove la religione da tempo non lo fornisce più.

Con ciò diventano a loro volta consumatori. Consumatori di cultura. Un consumo caratterizzato da una ricerca di senso.

Esco della metro, un po' perplesso, con le mia cuffie in testa, mi sento consumatore di cultura. Senza molto più senso di prima però.
Ritenterò.

14 settembre 2008

La luce che circonda

Qualche mia nuova foto cliccando qui.
Qualche album monografico qui.

08 settembre 2008

Numeri Primi

Una cara amica, che qui si chiamerà E.d.L. , non ha (per ora) grande dimestichezza con i blog, ma ha invece confidenza con la scrittura (e l'arte).
Mi ha mandato queste righe sul libro di Paolo Giordano
La solitudine dei numeri primi, che, come si dice, "volentieri pubblichiamo".
E' un libro di cui si parla molto e sembra generalmente apprezzato, per cui qualcuno qui intorno che l'ha letto (e magari vuole dirci cosa ne pensa) c'è di sicuro. Io non l'ho ancora fatto ma lo farò.


Non leggevo così d’un fiato da moltissimo tempo. Mia Madre mi aveva detto che era un libro che ti sollecitava ad andare avanti. Come un giallo. Ma non sapevo esattamente cosa aspettarmi, anzi, dalla presentazione seguita sulla terrazza del Castello di Acicastello (CT), in una serata torrida con l’autore arrostito sotto i riflettori, non avevo affatto ricevuto l’impressione che si trattasse di un vero e proprio romanzo. Piuttosto di racconti sull’infanzia e l’adolescenza.

Non è così. Il libro esplora molto di più, con una costruzione narrativa leggera, e per me nuova.

Tratta della vita degli studenti di una classe. Tutti legati da coincidenze, eventi, malesseri e cattiverie contorte. Ad ogni capitolo ti aspetti che il registro cambi, che non vi sia ancora un filo di Arianna che conduca al prossimo scenario. Le inquadrature sono compiute in sé, tanto quanto in relazione le une alle altre. Molto gradatamente siamo spinti in avanti da piccoli colpi di scena, che svolgono l’impeccabile struttura narrativa.

Il destino gioca un grande ruolo, lieve e ineluttabile come un vento serale. Può ritardare di un’ora, non di più. I personaggi entrano in rotta di collisione, per poi schivarsi all’ultima frazione di secondo. Giordano non indulge, dice le cose come stanno, riesce a non trasfigurare, se non nei momenti in cui entra sinuoso nelle fantasie dei personaggi, allora descrive metafore matematiche e fenomeni fisici ammalianti. La tensione superficiale dei liquidi, i moti convettivi e altre meraviglie dell’universo restituiscono a chi legge, un senso di genuino rapimento davanti alla vita. In quei momenti il silenzio siderale afferma l’armonia delle cose che funzionano come devono.

L’estetica del testo riposa lì, in questi spazi mentali e reali ad un tempo, che restano imperturbati dagli accidenti mondani. Un contrappasso meraviglioso nella narrazione.

Non sono solo storie psicologiche di bambini deprivati della fantasia e del coraggio di vivere se stessi con fiducia. Nemmeno storie soltanto di un'infanzia sola, senza un filtro che medi il loro primo impatto con il mondo. Sono storie di figli, i cui genitori sono descritti quasi sempre seduti davanti ad un televisore. Paralizzati da vicende immense e indigeribili, anche dopo anni. Genitori soli, privi di famiglia estesa o spazio sociale. La vita di queste famiglie mostra l’eccessivo tempo di esposizione che i figli vivono rispetto alle disfunzioni familiari. Emerge la loro fatica ad emanciparsi e a conciliare il sunto del dare e dell’avere, nel rapporto familiare.

Giordano tratta di un modo di vivere e crescere molto introflesso, che si auto-ausculta senza davvero ricevere sollecitazioni ad un rapporto su scala maggiore, o quanto meno diversa. L’esterno sociale non riguarda la crescita di queste persone. Questa è la realtà. Non ci sono termini di confronto ampi e l’unità di misura è dettata soltanto da se stessi.

La bambina Alice, da angelo delle nevi diventa donna trentenne, con da sempre appresso la sua brava anoressia. Ne seguiamo il tracciato, i giochi terribili della tempistica di conversazioni difficili, sulle quali gioca un’intera vita. I movimenti dell’anima sono un territorio fascinoso e irregolare che attrae l’autore tanto quanto quelli dell’esattezza algebrica. Qualcosa che crescerà ancora, credo, facendo cadere giù qualche velatura di colore forse troppo netta.

Mi aspettavo un libro dalla scrittura molto discorsiva, colloquiale. Così mi avevano detto. Ho letto un libro in cui il gergo corrente fa capolino e poi se ne sta buono al suo posto. Dove gli dice di stare Giordano. I registri linguistici sono vari. Non ho riscontrato dipendenza rispetto a nessuno di essi.

Il testo è orchestrato con immenso lavoro di ripulitura. In questo gran lavoro riconosco la virtù di non perdere immediatezza.
Un libro da rileggere ancora.

E.d.L.

Law and Order



Da qualche giorno volevo commentare la presenza dei militari per le strade.

Lo faccio linkando il post dell'amico Sergio Messina aka Radio Gladio, tratto dal suo articolo su Rumore, che sottoscrivo.



Foto courtesy Sergio Messina - Radio Gladio

07 settembre 2008

Estate

All'anno prossimo, dunque, Estate.

Autovettura Medicale in Servizo Sociale

Ma chi ha bisogno del servizio sociale? Il paziente, l'auto o il nostro welfare state?

02 settembre 2008

Dolcissimo Arimondi


Oggi mi sento buono come un Arimondino al rhum.
P.S. Anche se sono meglio quelli al maraschino.

Pedocandidato


Tratto da "Mille e uno metodi per perdere le elezioni".

27 agosto 2008

po' porno

Vabbé, un po' Air, un po' Charlotte Gainsbourgh, però è il mio pezzo/video del mese.

26 agosto 2008

Sicilia Meridionale 2

Una amica siciliana mi racconta che per ben due volte quest'anno, operai chini sui lavori stradali in città si sono fermati e, posando gli attrezzi: “Signora mi permette. Mi viene da recitarvi una poesia. Posso?”.

Dopo il consenso, eccoli intonare antichi versi, con la mimica accorata con cui la tradizione vuole che si accompagnino quelle parole.

Cercando di non generalizzare, una terra dove la bellezza sembra marchiata a fuoco nel carattere delle persone, anche quelle apparentemente più semplici.

Nel sud occidentale profondo della Sicilia, lontano dai luoghi di grande frequentazione turistica, esiste una dignità e un contegno, una mancanza di ostentazione gratuita sorprendente. Anche valutando l’influenza delle chiesa, anche valutando l’attenzione che viene data alla “morale” e alla cura dell’apparire con decoro.

Manca il senso dell’estetismo fine a se stesso, l’attenzione verso l’apparenza così soffocante negli italiani continentali. Nulla è mai sciatto e nello stesso tempo nulla appare mai eccessivo. Una sorta di “classicità”, simile all'albero siciliano della mia foto.

Ossigeno per gli occhi e per il cuore.

Sicilia Meridionale

Qui stupiscono i nomi delle vie ispirate alla conquista piemontese. Via Cavour, Piazza Umberto I, Via Garibaldi.
La sottigliezza gattopardesca dei siciliani deve averli indotti a tollerare il nome di queste vie perché non è certo il nome di una via che ti fa sentire conquistato (ingenui altoatesini, baschi e bretoni con i loro cartelli bilingui).

Chissà quanti nomi di vie fenicie, greche, romane, bizantine, arabe, normanne, spagnole, piemontesi hanno visto iscrivere sui muri nel corso dei secoli, guardando sornioni di sottecchi, dalla calma delle seggioline posate avanti i loro usci.

Scrivete, scrivete, che sappiamo bene chi comanda qui.

E per neppure un secondo ti può venire il dubbio che chi comanda qui sono le persone del posto, qualcuno confuso tra la gente, vestito allo stesso modo. Qualcuno che hai visto di sottecchi baciarsi sulla gancia con un compaesano ossequioso questa mattina al bar principale del paese, dove ti offrono specialità del posto quali cucchitelle e brioches con la granita al limone.

Qui sembra non essere ancora arrivata Ikea, né Dolce e Gabbana, neppure la mafia cinese di Gomorra. La globalizzazione sembra non aver ancora disintegrato le relazione tra le persone del paese, del rione, forse. Arriverà di sicuro, di sicuro ci prova notte e giorno con Canale 5, il digitale terrestre, Miss Italia, Veline, Amici. Arriverà presto o tardi, ma sarà comunque come lo vorranno i siciliani, legati al loro passato ricco di esperienza e quindi attenti a ciò che accade intorno.

Alla festa della Madonna del Soccorso tutto il paese partecipa vestito a festa: belle e giovani donne eleganti, vecchie grinzose a piedi scalzi con lo scialle delle Figlie di Maria, uomini incravattati, ragazzine che si fanno fotografare in digitale dai fidanzati vicino alla statua della madonna col bambino, dopo averle accarezzato la mano.

Bei tipetti

Il bel tipetto, dotato di quattro preclare qualità quali essere contemporaneamente smidollato, mantenuto, cinico e sfrontato, la storia ci insegna che verrà tuttavia tradito dall'uso catastrofico delle virgole.
Perché è noto che il diavolo sta nei dettagli.

25 agosto 2008

Le vie di una città

Non potrebbe essere un’idea per una città migliore nominare le vie con ciò che lì viene prodotto e mercanteggiato, come nelle antiche vie genovesi di cui al post precedente?

Ciò ci risparmierebbe in futuro tra l’altro Vico Fiorello, Via Gianni Versace, Piazza Giuseppe Grillo detto “Beppe”, Viale Giulio Andreotti, Largo del Cavaliere poi Presidente eccetera.

Come chiamarle allora? Viale della Mission, Vicolo del Budget Plan, Piazza del Subprime, Via della Filiera (No la filiera no!), Viale del Cacciatore di Teste?

Meglio di no, grazie.
Suona pure come un’idea da diessini.

E comunque diciamocelo, in nome delle Fragole, dello Zucchero e del “Cioccolatte” di nefandezze nel mondo ne sono state commesse almeno altrettante.

Il Carmine

Lo ammetto. Genovese di nascita, non conoscevo il Carmine.

E’ un quartiere antico e centrale, che fa da frontiera tra i vicoli a mare e i quartieri residenziali della zona a monte a ovest di Castelletto. Il suo nome è sempre stato legato alla omonima chiesa, ingiustamente celebre per lo spaccio che di fronte si consuma(va).

Il Carmine (qui il mio breve tour fotografico) è in realtà un piccolo incantato paese a sé, dove l’atmosfera è quella del borgo antico, dove il muro scrostato convive con i panni colorati e con i ciottoli della creusa e dove i portoni delle abitazioni sembrano portoni di antichi monasteri.

Chi non vorrebbe vivere in Vico della Fragola o in Vico dello Zucchero, uscire di casa e svoltare in Vico del Cioccolatte? Nomi antichi di vie in cui evidentemente era possibile mercanteggiare questa marce allora preziosa ed esotica, non a caso molte intersencantesi con Via del Valore.

Piazza S. Bartolomeo dell’Olivella, con due olivi luccicanti a far da guardiani al portone della vecchia chiesa dimenticata, dove staziona la cuccia vuota di un improbabile “cane di quartiere” e dove, con occhio un po’ indiscreto, si può osservare dentro alla vita delle persone, immaginare (o sognare) il loro ordine lindo.

Ma il culmine del quartiere è Piazzetta della Giuggiola. Una minuscola piazza pedonale e senza uscita abbarbicata in cima ad una piccola collina, che piazza non è, ma cortile, corte.

Appena arrivato, una assolata domenica d’estate prima di pranzo, si acoltava il suono delle radio uscire dalle finestre e una ragazza acompagnava intonata Eppure soffia di Pierangelo Bertoli. Nelle altre vie si ascoltava Gigggi, Shakira, Mina, addirittura i Pearl Jam.
Bertoli era uno strano cantautore rock di sinistra, oggi inattuale e non ancora riscoperto dai revival ciclici. E bene echeggiava in questa piazza solitaria e fuori dal tempo. Ricordava una Genova viva e combattiva.

Mi sono seduto e ho ascoltato la canzone fino alla fine, sperando senza speranza di intravedere la giovane, che ho immaginato e tuttora immagino molto bella.

P.S. Per chi come me non si ricorda come è fatta una giuggiola, eccone un disegno.

Sintesi









Molte volte ho studiato la lapide
che mi hanno scolpito: una barca con vele ammainate, in un porto. In verità non è questa la mia destinazione ma la mia vita.

Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo suo inganno; Il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura; l’ambizione mi chiamò, ma io fui terrorizzato dagli imprevisti. Malgrado tutto avevo fame di un significato nella mia vita.

E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino dovunque spingano la barca. Dare un senso alla propria vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio. E’ una barca che anela al mare eppure lo teme.

E.L. Master, Epitaffio di George Gray, da L'Antologia di Spoon River, Einaudi
Foto di William Willinghton da Spoon River Ciao, Dreams Creek.


Una poesia che nel sua semplicità lineare mi aiutò (e mi aiuta) spesso quando l'attesa sembrava molto più comoda.

Luoghi Comuni

Meno lontano di quanto si dice.
(la foto è mia)

19 agosto 2008

"Voglio tutto" o del collezionismo in edicola

Uno dei miei divertimenti estivi è immaginare cosa ci proporranno quest’estate le edizioni collezionabili in edicola.

Intorno a Ferragosto, complice il desiderio di molti di dedicare maggior spazio alle proprie passioni (eterna illusione accanto ai buoni propositi di fine anno) la pubblicità si scatena proponendo collezioni di ogni tipo e gusto.

Quest'anno vedo Fabbri e De Agostini un po’ in affanno (De Agostini propone la stantìa Famiglia Addams..). Hachette conduce il segmento medio alto, mentre Hobby & Work domina con Peruzzo e Del Prado il segmento popular-trash, quello che da sempre offre le sorprese più spassose.

La più raccapricciante ma al contempo più ovvia nell'Itaglia dei Santi e degli Eroi è la raccolta di Santi e santini della Hachette. Star della serie è ovviamente Padre Pio, di cui con il primo numero viene regalata un'icona...
Poter scoprire se esiste Sant’Arimondi mi sembra una prospettiva entusiasmante. Chissà che santino regalano.

Niente male il modellino telecomandato Nautilus da costruire, per “poter finalmente esplorare sott’acqua”. Peccato che, quando e se lo finisci, sarà gennaio inoltrato e potrai quindi esplorare solo i peli nella vasca da bagno.

Sempre di argomento esplorativo, la serie più sfigata in assoluto mi pare però la serie completa dei libri di Jules Verne rilegati in gran lusso e in custodia cartonata, ovvero l’illusione di far sentire dei veri bibliofili tutti i poveretti che hanno letto due libri in vita loro (di cui uno è Il giro del mondo in ottanta giorni e l’altro è la versione ridotta per bambini dei Promessi Sposi).

La serie dei richiami per uccelli era uscita in Francia due anni fa. Mi figlio ex-birdwatcher ha chiosato con un laconico: “sfigati”.

La serie delle perline colorate non lascia spazio ai commenti a meno che non abbiate figlie femmine. Così come l’ennesima storia del Terzo Reich per tutti i (sempre più numerosi) nostalgici travestiti da storici.

La Gazzetta dello Sport vende scacchi in vero marmo. L’unico utilizzo che riesco a immaginare potrebbero farne i lettori di quel giornale sarebbe scagliarli contro la tifoseria avversaria allo stadio.

La collezione dei coltellini di Hobby & Work ha mietuto una vittima in casa mia perché il piccolo, da bravo undicenne, ama tutte le armi, comprese quelle da taglio. Ovviamente ha già mezzo affettato un dito al grande in una rissa. Aspettate che il terzo numero costi Euro 7,90 e gli faccio passare la passione.

Anche io sono caduto più volte nella trappola naturalmente. L’ultima fu una collezione di CD completa dei brani che vinsero Sanremo della Armando Curcio. Raccolta divertente, utile e istruttiva, davvero, ma credo la comprammo in tre. La Curcio è fallita poco dopo.

Mi diverte sempre fantasticare sugli orrori del “marketing” e trovo strabiliante la capacità che hanno queste serie di solleticare il desiderio di possedere “il tutto” da parte di noi poveri umani. Per fortuna non so vendere uno spillo, perché mi sarebbe piaciuto sperimentare tecniche di vendita malandrine. Che so, la raccolta di home video con tutte gli atti di sadismo di alunni nei confronti degli insegnanti tratti da YouTube, la fedele riproduzione fotosatica dei mini assegni che spopolavano a fine anni Settanta quando non c’erano più spiccioli, la raccolta video di tutte le risse più spassose in Camera e Senato dalla Costituente ad oggi, una raccolta di fedeli riproduzioni in formato reale di telefonini vintage 1996-2000, una serie che duri 3712 settimane intolata “costruisci il tuo relitto di Ustica e trova la tua soluzione”…

28 luglio 2008

Little tip

Molto belli i vostri widget musicali, cari amici blogger, però abbiate la gentilezza di lasciare in stand-by il lettore: la scelta musicale è spesso azzeccata e raffinata oltre che specchio della vostra personalità, tuttavia , prima di un apprezzamento musicologico, rischiate più che altro un bel vaffa da tutti quelli (come me) che tengono il volume del pc mediamente alto e si ritrovano immancabilmente a saltare sulla sedia... :-)

Domanda 1

Qualcuno sa come mai ha chiuso il blog di Atipicaprecaria?

Qualche sciacallo se ne è subito impossessato.

22 luglio 2008

Highlights of the week

A volte una chiacchierata anche breve con un caro amico dà la svolta alla settimana.

E fa bene dare libertà ai ricordi lontani, anche a quelli che si ritenevano forse rischiosi.

21 luglio 2008

Amore con amore

Questa me la dedico, perché a volte giurerei di averla sentita risuonare nelle orecchie, come se qualcuno me la cantasse da ormai lontano.


L'amore con l'amore si paga
l'amore con l'amore si paga
l'amore con l'amore si paga
l'amore con l'amore.

Ho lacrime da donna
cosmetiche e severe
e lacrime da uomo
profonde e non meno sincere.

E continuo a bussare alla porta di Dio
e continuo a bussare alla porta di Dio
a passo di cane alla porta di Dio
a passo di cane alla porta di Dio.

Chi non ha scarpe non ha ragione mai
chi non ha scarpe non ha padroni
rispondo io chi non ha scarpe non ha scarpe allora
chi non ha scarpe non ha scarpe.

Vengo a vedere per l'ultima volta
il mio grande amore
vengo a trovare per l'ultima volta
il mio compositore
cuore di latta che non hai fatto che guai
cuore meschino che non hai fatto che guai.

Col mio sguardo diritto
e i miei occhi speciali
come una vedova di vent'anni che vuole sapere
una puttana di trent'anni che vuole vedere
all'estremo limite del vero
all'estremo limite del vero c'è.

Che l'amore con l'amore si paga
che l'amore con l'amore si paga
l'amore con l'amore si paga
l'amore con l'amore.

O Capitano Mio Capitano
anche se il viaggio è finito
sento ancora tempesta annunciare
e le donne esultare
le campane suonare
e altre inutili parole d'amore.

O Capitano Mio Capitano
è che non posso lasciare
che nemmeno un sogno scivoli via
sotto nuove bandiere
ancora giorni e sere
per il tempo che ha l'anima mia
e per me.

Orecchie d'asino
in questo entroterra umido
vince chi dimentica
vince chi dimentica.

L'innamorato perpetuo
scrive la sua ultima lettera alla luna
dall'orizzonte degli eventi
fa l'elogio del peccato e del peccatore
quante inutili parole d'amore
quante inutili parole
quante inutili parole d'amore
quante inutili parole.

E l'amore con l'amore si paga
e l'amore con l'amore si paga
l'amore con l'amore si paga
l'amore con l'amore.

Ho lacrime da donna
cosmetiche e severe
e lacrime da uomo
d'amore, direi.

Io continuo a bussare alla porta di Dio
e continuo a bussare alla porta di Dio.

L'amore con l'amore si paga (Ivano Fossati)

13 luglio 2008

Visa vs. Palanche

Milano-Genova. Uscita barriera di Ge-Sampierdarena.

Cento auto in coda al casello "Pagamento in contanti".
Una sola auto, la mia (che vivo a Milano) al casello per carta di credito.

Genova-Milano. Uscita Milano. Barriera di Bereguardo.
Seicento auto in coda al Viacard.
Tre auto tre al pagamento in contanti.

Belin, che la carta di credito costa.

Come amo i genovesi e come amo ridere dei luoghi comuni.

11 luglio 2008

Eyes Wide Coloured

Per una volta parlo di me. O almeno di una parte, cioè di due.

Non sono certo che siano sempre stati così. E’ buffo, ma nessun testimone è mai stato in grado di confermarmelo. Siamo un po’ distratti in famiglia.

Qualche mese dopo un’operazione subita un po’ di anni fa qualcuno mi chiese come mai avevo gli occhi di due colori diversi.
L’ipotesi dei medici interpellati fu depigmentazione. Uno dei due cambiò colore perché qualcosa era stato toccato da qualche parte nel collo.

Eppure ben rappresentano, credo, due aspetti della mia personalità. Come se mi mettessero in grado di vedere il mondo da due prospettive diverse, da due angolazioni separate. Due webcam aperte sul mondo che mandano il segnale a due regie diverse.

Da una parte la mia parte razionale, tendente alla sintesi, capace di andare al punto laddove molti altri si perdono nei dettagli.
Dall’altra la dimensione sensibile che spesso spinge a trovare i dettagli dove vorresti magari non trovarli per poter vivere più tranquillo.

La cosa complicata è sapere con quale occhio stai guardando il mondo in quel momento.

Lo confesso, amo il colore contradditorio dei miei occhi.
Mi aiutano a dare una qualche spiegazione irrazionale ai miei contrasti. Ordine vs. disordine, disciplina vs. anarchia, necessità vs. caos, dolcezza vs. cinismo.
Ma che fatica correre ogni giorno su questo filo in equilibrio: solo la ragione ferrea trattiene dalla fuga nel troppo sensibile. O forse farebbe bene fuggire laggiù o essere fuggiti per sempre?

07 luglio 2008

Media. Chi di spada ferisce...

Giornata lavorativa finita all'insegna dell'umorismo!


Per strada avranno pensato che ero un po' matto mentre ridevo ascoltando per radio la scheda sul nostro premier, preparata dall'entourage di Bush e distribuita alla stampa mondiale al G8 di Tokyo.

La scheda è tratta da questa fonte:
FindArticles - Berlusconi, Silvio
UXL Encyclopedia of World Biography, (2003)

Sono subito seguite le scuse ufficiali.

Nella foto, il portavoce di Bush, Tony Fratto, appena uscito da un film di Totò.

06 luglio 2008

Luglio - Fight back


In auto, verso il mio Luglio solitario.

Alda Merini, Umberto Galimberti, Dario Fo a un convegno riassunto da Radio 24 sui trent'anni della Legge Basaglia (la famosa legge del 1978 che in pratica chiuse i manicomi e cercò di regolamentare il trattamento dei malati di mente).
Come sempre, ascoltando, ritorno a ripetermi quanto abbiamo bisogno di ciò. Quanto è necessario - in questa corsa folle ed efficientistica che ci assilla e ci costringe ad agitarci angosciosamente - ascoltare ancora la "saggezza" di chi le cose le ha vissute (la Merini ha sopportato quindici anni di manicomio), di chi le studia (sempre stupefacente la lucidità sintetica di Galimberti) e di chi le ha messe in scena per una vita intera (Dario Fo).
E colpiscono la parole di Galimberti, che qui riassumo: Basaglia aveva visto lontano nell'affermare che discriminare e allontanare i malati di mente era una piaga da evitare. Perché questo avrebbe portato lentamente ad accettare di allontanare dalla vita civile altre categorie che si fossero definite o fossero state definite diverse: omosessuali, malati, handicappati.
Oppure, aggiungo io, chi la pensa in maniera diversa, oppure gli "stranieri" o i ROM oppure perché non di nuovo gli ebrei?
Discorso quanto mai attuale, evidentemente.

A proposito di questo ed altro, leggete anche per favore l'ottimo editoriale di Barbara Spinelli sulla prima pagina de La Stampa di oggi.


Original Translation
Als die Nazis die Kommunisten holten,
habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.

Als sie die Sozialdemokraten einsperrten,
habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Sozialdemokrat.

Als sie die Gewerkschafter holten,
habe ich nicht protestiert;
ich war ja kein Gewerkschafter.

Als sie die Juden holten,
habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Jude.

Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestieren konnte.

When the Nazis came for the communists,
I remained silent;
I was not a communist.

When they locked up the social democrats,
I remained silent;
I was not a social democrat.

When they came for the trade unionists,
I did not speak out;
I was not a trade unionist.

When they came for the Jews,
I remained silent;
I wasn't a Jew.

When they came for me,
there was no one left to speak out.


Friedrich Gustav Emil Martin Niemöller, First They Came...

25 giugno 2008

Doveva succedere

Doveva succedere prima o poi.

Il piccolo mi ha chiesto il nuovo CD dei Children of Bodom.
Lo confesso: non sapevo neppure chi fossero.

Il Metallo o dell'"a volte ritornano" (grazie anche al dilagare di Guitar Hero)

(Saranno pure ridicoli, però che tecnica...)

08 giugno 2008

Palestre


Questo strano luogo viene chiamato Il Cremlino dalla gente del quartiere e si trova a Milano.
C’è una palestra particolare in questo edificio. Gestita da un vigoroso e vitale britannico, non ha nulla a che fare con le patinate e luccicose palestre milanesi tipo GetFit, Virgin ecc.
Niente schermi giganti con AllMusic a palla, niente attrezzi con monitor incorporato propinantivi Sky News o le ultime quotazioni borsistiche, neppure aree con doccie termali, né spogliatoio con ampi specchi obliqui, non atmosfere ionizzate per farti respirare aria pulita (?), né corsi di Pilates (che a me ricorda sempre qualcosa simile alla crocifissione).

Mio figlio piccolo va alla palestra del Cremino. Che è invece una palestra in effetti molto "british" dove appena entri – sarà anche per l’aroma di sudore che ti fa subito capire che qui l’aria ionizzata non c’è, sostituita da una sana tensione agonistica - percepisci un’atmosfera alla Fuga per la vittoria e capisci subito che chi ci lavora qui lo fa per passione.
Mio figlio piccolo ci gioca a squash ed è diventato la mascotte non solo perché dicono sia bravo ma perché pare assomigli (in piccolo) a Peter Nicol, campione mondiale di squash che capita qui ogni anno (qui sotto mentre gioca proprio con lui).


In questo posto si sorride molto. E c’è un sacco di gente che viene e va a tutte le ore.
Cercarli più spesso questi posti dove si sorride molto.
Un po’ come quei luoghi dove si praticava il birdwatching, l’antica passione passeggera di mio figlio grande.

24 maggio 2008

In a rut



In a Rut, The Ruts con Malcom Owen - 1978

22 maggio 2008

Illuso, ostinato e contrario

Mah.
E' un periodo che penso che ormai loro sono la vera realtà dell'Italia.
Sono ormai normalizzati, sono diventati parte del panorama democratico, sono al governo e oltre che un sacco di rozze corbellerie e di interventi "ad personam" riusciranno anche a fare qualcosa di buono, perché tanto è tutto così degradato che non ci vuole molto.
Si respira un'aria di "condono ideologico".

E noi con i nostri "princìpi" siamo qui a prenderci sul serio, a commiserarci con le nostra sottile ironia, il nostro pungente cinismo, la nostra rabbia intellettuale, la nostra net-parrocchietta, le nostre citazioni alternative, il nostro rock "ribelle", la nostra illusione un po' spocchiosa e ipocrita di vivere "in direzione ostinata e contraria", dinosauri resistenti (onore a Wilson trend setter), ma pur sempre dinosauri.

Ciò non toglie che si resiste. Non è la resistenza che ci manca.

E fare qualcosa?

20 maggio 2008

Indipendentismo e pedate

«Il popolo della Padania condivide con quello del Tibet l'aspirazione ad essere ciascuno padrone a casa propria».

Già, proprio gli stessi ideali.

In più ci deve essere un errore di stampa. Credo il trofeo si chiami non "Libertà dei popoli", ma "Libertà dai popoli"...

18 maggio 2008

Indemoniato

Il piccolo, a proposito delle intemperanze adolescenziali del "principe" quattrodicenne suo fratello: "Papà, sembra uscito fuori dall'Esorcista. Manca solo che ci vomiti verde addosso...".

Io rido e scrivo per esorcizzare (ma guarda un po'), ma non so quanto ci sia da ridere.

14 maggio 2008

13 maggio 2008

Boys will be boys

Ispirato dall'insegnamento illuminato della professoressa di lettere, mio figlio quattordicenne elabora la propria coscienza critica.

Giovedì scorso mi ha racconta della sua lunga e animata discussione pomeridiana con un gruppo di fascistelli del quartiere, occupati a reiterare banalità su “quando c’era lui”, sugli extracomunitari che “rubano il lavoro aglitaliani” e del suo tentativo di contrastarli dialetticamente e tenere alta la bandiera del Giorno della Memoria.

L’avrei abbracciato. Gli ho detto che ovviamente faceva bene a difendere le proprie idee.

Colpito da questa vicenda, decido di fargli vedere la sera stessa, per la prima volta, Anno Zero.
Nella puntata si mostra non solo l’ottusità di un certo pensiero di destra, ma anche la tristissima intervista ad un gruppo di quattrodicenni che sia fanno da sera mattina di canne, cocaina e acidi e dell’incredibile vuoto mentale delle migliaia di aspiranti partecipanti al Grande Fratello: sfigati palestrati marchiati DG sulla fronte, maniaci dotati di personal coach, tristi figuri dalle lenti a contatto colorate, cantanti sfigati e stonati tipo La Corrida, megere frustrate.

Tutto compreso da tale scenario umano, il ragazzo va dormire.

Evidentemente ispirato da questi pensieri, sabato mattina mi chiede di uscire per comprarsi una ricarica di cellulare. Dopo venti minuti torna.

CON LE LENTI A CONTATTO VIOLA.

Santoddddddio.

“Volevo fare qualcosa di originale”, mi ha detto...
Ancora un po' e chiamavo gli amichetti del quartiere.

La morale? Abbandonate ogni moralismo, o voi che entrate.

11 maggio 2008

Ari's back

Visto che avete avuto pazienza, mo' beccatevi questo.
Milano, Palalido, 16/02/1980, The Ramones Live
(Franco, sei contento? Non sono riuscito ad individuarti tra il pubblico però...)


Di queste foto amo tutto. Sicuramente perché c'ero e le ho scattate. Sicuramente perché ero molto giovane e a bocca aperta (con la macchina fotografica in mano però). Per i colori ormai un po' sbiaditi, per le pose straordinarie di Johnny, Joey e Dee Dee, per il fumo del Palalido (vedi sotto), per il rombo di adrenalina immediatamente successivo al "one-two-three-four", per i Chelsea che fecero da supporto, perché avevo appena provato l'ebbrezza della sala prove in Vico San Bernardino, per il cumulo di chiodi (che io mai indossai) ammassati sotto il palco (vedi sotto).

Ma soprattutto per il pubblico. Perché si percepisce una furia ribollente nel pubblico. Una incazzatura esplosiva.
Non erano anni belli. C'era molta tensione (diversa dalla tensione di oggi) ed a un concerto punk questo ci stava molto bene.

Gabba Gabba Hey

Chiodi al Palalido, nel fumo


L'unico concerto degno di questo nome in quegli anni (1979) era stata Patti Smith a Bologna e Firenze. I Ramones - se non ricordo male - erano stati i primi ad accettare di tornare a suonare in Italia dopo che gli autonomi autoriduzionisti avevano bruciato il palco a Lou Reed qualche anno prima (1975?) e che tutte le agenzie di concerti si rifiutavano di portare gli spettacoli nel nostro paese.
Non a caso quella sera al Palalido c'erano anche parecchi fricchettoni.
Forse anche questo contribuiva ad alimentare una tensione più acuta. Si percepiva un "antagonismo musicale". Loro ci guardavano con disprezzo e stupore, ridendo della pochezza strumentale dei Ramones, dimenticando però che che ciò che contava (come sempre nel rock'n'roll) era l'attitudine. Noi li guardavamo già come dei vecchi rottami patetici.


Foto © Arimondi