21 agosto 2012

Pur che se ne parli


Qui non si fa nulla, nulla, se non si fa chiasso. Bisogna essere discussi, maltrattati, levati in alto dal dolore delle ire nemiche. Il parigino non compra quasi mai il libro spontaneamente, per un sentimento proprio di curiosità; non lo compra che quando gliene hanno intronate le orecchie, quando è diventato come un avvenimento di cronaca del quale bisogna dire qualcosa in conversazione. Pur che se ne parli, comunque se ne parli, è una fortuna. La critica vivifica tutto: non c'è che il silenzio che uccida. Parigi è un oceano, ma un oceano in cui la calma perde, e la burrasca salva. Come si può scuotere altrimenti l'indifferenza di questa enorme città tutta intenta ai suoi affari e ai suoi piaceri, ad ammassar quattrini e a profonderli? Essa non sente che i ruggiti e le cannonate. E guai a chi non ha coraggio!

Non è un'"acuta" osservazione da piccolo moderno comunicatore di massa, ma una lettera di Émile Zola a Edmondo de Amicis, risalente più o meno al 1879.
Zola aveva lavorato da Hachette e aveva imparato presto come vendere i propri libri.

Ma dopo quasi 150 anni, l'industria culturale di oggi usa ancora gli stessi strumenti "promozionali" e non è ancora riuscita a trovare nulla di meglio di fare chiasso per far parlar di sé.

Il silenzio uccide, quindi ammettiamo qualsiasi nefandezza comunicativa, purché se ne parli.

01 luglio 2012

Laurel Canyon a Milano

Foto © Arimondi



L'altra sera prima di cena ho assistito ad un piccolo evento magico.
Jonathan Wilson si esibito per uno sparuto gruppo di fortunati in un piccolo locale di Milano, il giorno prima dell'unica vera data italiana a Lucca.

Appena imbracciata la chitarra, accompagnato da Omar Velasco alla seconda chitarra e da Jason Berger al Mellotron, ha spalancato un mondo acustico di magia e bellezza curata.

E' stato un piacere ritrovarsi perduti in un'atmosfera West Coast proiettata nel 2012 senza poter mai poterne definire le influenze precise; che pure ci sono, da Neil Young a David Crosby, a Gram Parsons, ai Buffalo Springfield, alla Band e ai Quicksilver. Quasi che Wilson sia stato generato in questo brodo primordiale e da qui sia partito per elaborare le sue canzoni.
Ma Wilson - stimato produttore - è permeato anche di cultura musicale europea e a volte propone giri di chitarra che sono molto più Pink Floyd o Radiohead che californiani (come in Natural Rhapsody).

Le versioni acustiche non sfigurano rispetto a quelle più elettriche dell'album Gentle Spirit, anzi guadagnano intensità e calore, dando grande peso alla voce di Wilson, sorprendendo per la cura dei dettagli.

I pezzi - come dice un amico -  "respirano", non sono cioè costretti nella forma canzone, ma lasciano spazio a frequenti cambi ritmici e armonici che rendono l'ascolto dell'album ancora una sorpresa e l'esperienza live altrettanto intensa.

Il fatto che la scaletta sia sta solo di cinque-sei pezzi (causa l'incipiente partita Italia-Gemania) ha limitato nel tempo il piacere ma ha forse reso l'evento ancora più speciale.


Qui di seguito in versione elettrica:






30 giugno 2012

Cieli d'Europa, ora di punta


Flightradar24 è uno sito web dove vengono tracciati in diretta - grazie ad un gruppo di circa cinquecento volontari - i voli europei.


In pratica, un utilizzatore che si collega al sito, conoscendo il numero un qualsiasi volo aereo, lo può seguire dal decollo fino all'atterraggio, visualizzandolo in diretta e in movimento sulla mappa satellitare di Google.

Unica condizione è che l'aereo sia di dotato di transponder ADS-B, tecnologia di controllo del traffico aereo.
Ad oggi, circa il 60% dei voli di linea lo sono.

Quella raffigurata qui sopra era la situazione dei voli alle 12:22 di un qualsiasi giorno infra-settimanale.

L'autostrada Milano-Brescia appare meno trafficata.

17 giugno 2012

Tris di Triennale

Tre ottimi motivi per andare alla Triennale di Milano in questi giorni.

- Mostra sul Kitsch a cura di Gillo Dorfles.
Il critico,  dopo averci istruito negli Anni Sessanta su quanto fosse dannoso esteticamente (e ideologicamente) il fenomeno del kitsch nella vita e nell'arte - senza poterne frenare neppure per un attimo lo strisciante avanzare-, a distanza di quarant'anni ammette abbastanza candidamente che siamo ormai immersi nel kitsch quanto un bimbo prima di nascere lo è nel liquido amniotico.
Insomma il kitsch è tra noi e probabilmente lo siamo anche un po' noi, senza forse accorgercene.
Mostra del kitsch nell'arte, ma anche collezione spassosa di oggetti kitsch da collezione.
Degni da citare l'estremo Rudy Van der Velde (vedi immagine a lato) e l'ironico Corrado Bonomi.

- Commovente poster murale contenente 44 foto di Grégoire Korganow intitolato Pere et fils. La semplicità di un padre e di un figlio che si abbracciano replicato quarantaquattro volte, con il sentimento paterno e filiale amplificati dalla intensità del ritratto.
Argomento non comune, trattato con grande sensibilità.

- Mostra fotografica di Ugo Mulas intolata Esposizioni. Dalle Biennali a Vitalità del Negativo.
La fortuna di essere stati nel posto giusto al momento giusto, con la macchina fotografica giusta ed un immenso talento artistico e comunicativo. Duchamp, Rauschenberg, Giacometti, Severini, Fontana solo per citare i più importanti, ma soprattutto la gente, la tanta gente che ammira l'opera d'arte esposta e che Mulas immortala con il suo bianco e nero sgranato.
Ammiro molto l'opera di Mulas, secondo me tra le massime espressioni del giornalismo fotografico degli Anni Sessanta e Settanta.

L'iPad e i pupi

La tristezza al ristorante nell'assistere allo spettacolo dei genitori che piazzano il figlio di fronte all'iPad mostrandogli i cartoni animati.

Non sarebbe meglio mostrargli la meraviglia di luoghi e di persone che li circonda?


Foto di umpcportal

10 giugno 2012

C'è scuola e scuola

A volte bastano poche righe - in questo caso illustri - per definire una buona scuola.


Giulio Giorello a proposito del Liceo Berchet di Milano: "Finito il biennio del Ginnasio, ebbi l'occasione di conoscere alcuni professori veramente in gamba. (...) un altro era don Luigi Giussani, che certo non aveva il temperamento di Don Abbondio, ma era un ispirato docente di religione, così bravo che ancora oggi lo ringrazio di avermi fatto diventare ateo." (pag. 30)

Autori vari, B11 Berchet 1911-2011, 2011, 606 pagg.

01 maggio 2012

La Nuvola



Giusto per rimarcare l'evento.
Oggi Primo Maggio 2012, la mia library musicale si sta trasferendo sulla nuvola.
Le immagino tutte lassù, le "mie" canzoni, pronte ad accarezzarmi l'orecchio in qualunque luogo io mi troverò. Accanto a milioni di altre canzoni, depositate lassù da migliaia di altri ascoltatori appassionati. 


Nessun sa con precisione a cosa porterà questo cambiamento in termini strettamente musicali.
Questo tipo di cambiamenti sono sempre lenti, ma si può pensare che l'ubiquità della musica - inimmaginabile anche solo fino a dieci anni fa - inciderà anche sul modo di farla, di produrla e di commercializzarla.


Senza dimenticare che, oggi Primo Maggio, posso scrivere di ciò anche perché, per fortuna, io un lavoro per ora ce l'ho.

04 aprile 2012

Diritto al lavoro. Ma lontani da mammà

Cosa è più logorante per un giovane che guarda oggi al suo futuro nel mondo?


E' logorante studiare sette camicie per sperare di trovare lavoro dopo diciotto anni di fatiche?
Per poi ancora agitarsi per (forse) finalmente trovarlo?

Ma non è forse più logorante per i figli sopportare la vista quotidiana di questi genitori che affannosamente si agitano intorno e si agiteranno tutta la vita per poter dare loro una prospettiva migliore?
Può un ragazzo convivere con il fardello e la pressione di questa attenzione quotidiana? Una piccola goccia acida che rimbalza su ogni atto della vita quotidiana. Una specie di punizione ultra-terrena da cui non può fuggire. Un catalizzatore di sensi di colpa e di impotenza.
Questa attenzione, questa ossessione del futuro, maledettamente disinteressata; obiettivamente indispensabile. Eppur mai veramente richiesta.
Conferenze scolastiche, seminari di associazioni di volontariato, trasmissioni dedicate, blog in rete, cene tra adulti in cui l'argomento regna sovrano. Il tema è sempre lo stesso: il difficile futuro dei giovani.
Non stupisce che alcuni di questi, esausti e smembrati, rimangono per sempre avvinti come in una tossicodipendenza nel mondo di frutta candita dei genitori che si agitano per loro, rimanendo per tutta la vita dei mantenuti.

E se invece il messaggio che loro vorrebbero inviare fosse: "non datemi una mano; lasciate che sia io a svangarla. Non voglio più vedervi rinunciare a nulla per me. Mi avete generato ed allevato, trasmesso i vostri geni e la vostra cultura "illuminata" di sinistra. Accontentatevi di ciò un buona volta. Un tempo voi lottavate per dei valori nuovi, diversi da quelli dei vostri genitori. Oggi noi lottiamo per vivere nel mondo, ma anche per essere indipendenti, costretti a sopravvivere alla vostra invadenza, al vostro continuo e inevitabile venire in soccorso.
E soprattutto, voi genitori - perché è in questo che dimostrate di essere proprio ciò che temete di più, ovvero VECCHI - toglietevi di dosso quella maledetta aria di martiri piegati della globalizzazione, rinunciatari al lusso dei vostri padri cresciuti nel boom, soffocati dall'angoscia indotta dai mezzi di comunicazione, vetero borghesi di una classe media che non c'è più, disincantati e cinici ormai di fronte a tutto e tuttavia ancora cullàti e consolàti come bambini dalle cagate dei vari Neil Young, Lou Reed, Clash, Joy Division, cantori tedofori di un'immagine da perdenti, figli di un'epoca rock'n roll oggi fagocitata e sincronizzata dagli spot della BMW Eletta, dagli assorbenti femminili e dai prodotti di cosmesi per maschietti.
Abbiamo sentito parlare di Pasolini da voi, ci siamo commossi ed entusiasmati con voi a vedere Apocalypse NowInto the Wild, ma ora lasciateci ascoltare Skrillex e Jason F in pace."

Noi genitori siamo ansiosi nei confronti del futuro dei nostri figli.
Abbiamo modellato esageratamente i nostri progetti anche personali in funzione del loro futuro. L'impressione è che, più che aiutarli, a volte li si bombardi di aspettative di cui forse loro stessi, nella migliore delle ipotesi, non si rendono conto e che soprattutto non ci chiedono. Alcuni, magari più pragmatici, convivono bene con questa forma strisciante di assistenzialismo paternale, ma altri, più sensibili e timidi, non ne verranno schiacciati e avviliti nell'anima e nello spirito?


Foto © Arimondi

25 marzo 2012

Gradimento portatile


Si correva a casa tornando da scuola, con la curiosità di ascoltare le trovate e i personaggi surreali che avrebbero preso vita alla radio a mezzogiorno e mezzo.

Per chi ha qualche anno in più dei quaranta, Alto Gradimento rappresenta - insieme alla Hit Parade di Lelio Luttazzi - il miglior ricordo di come in molte case italiane la radio fosse quasi un membro familiare aggiunto.

Oggi mi sembrerebbe quanto meno intrusivo pensare di ascoltare la radio (o peggio la televisione) a pranzo con la famiglia. Non lo era allora.

Con questo programma Renzo Arbore e Gianni Boncompagni portarono in Italia l'improvvisazione radiofonica, molti anni prima che le radio libere inondassero l'etere di parole. Proposero tra i primi la migliore musica pop del tempo, sia italiana sia anglosassone. Inventarono credo anche un artificio comunicativo che avrà grande fortuna negli anni successivi: il tormentone, ovvero la riproposizione puntata dopo puntata di personaggi o situazioni cui il pubblico immancabilmente si affezionava.

Al di là dei vari indimenticabili personaggi inventati da Mario Marenco, Giorgio e Franco Bracardi (sopra a tutti forse Catenacci con la sue nostalgie del ventennio fascista), ciò che fa sorridere ancora ora sono le risate soffocate di Arbore e Boncompagni, incapaci di trattenersi dall'esplodere di fronte alle follie degli improbabili ospiti.

Ma quello che a me pare l'aspetto più rilevante di Alto Gradimento è il messaggio di tolleranza che - forse inconsciamente - veniva lanciato: la porta era sempre aperta e veniva data libertà di parola ed espressioni a personaggi improbabili di ogni tipo. I due conduttori si limitavano a chiosare con le loro osservazioni divertite e pungenti ma mai offensive nei confronti del (finto) ospite che faceva irruzione - sempre sbattendo la porta - negli studi radiofonici.

Benché parte della finzione, il messaggio era che si poteva essere tolleranti anche nei confronti di coloro che erano "diversi", mantenendo leggerezza e sorriso sulle labbra. Cifra estetica che soprattutto Arbore (più di Boncompagni) avrebbe sempre mantenuto in tutta la carriera successiva. 

Radio Due mette a disposizione in podcast un bel numero di puntate. Per ora una quarantina. Peccato che non ci sia anche la musica che Arbore e Boncompagni proponeva allora.
Tra le puntate si trova anche una breve intervista con Arbore, ascoltabile qui.
In questi giorni me li porto in metro e chissà cosa pensano i vicini di posto, vedendomi scoppiare a ridere tra me e me.

03 marzo 2012

Piazze, giganti e motori

Non ne sono mai stato un fan.

Un bambino di nove anni davanti ad un grande schermo in bianco e nero guarda e ascolta una canzone cantata da un omino piccolo e buffo. La mamma rassicurante commenta con il papà di quanto sia peloso, forse anche un po’ poco pulito. Ma la favola di un grosso signore che beve vino e viene chiamato Gesù Bambino la fa preferire a tutte le altre canzoni di quel Festival, immagine di un cristo poco conciliabile con le storielle del catechismo da Apostolato Liturgico che il bambino ascolta in quegli anni.
Oppure quella del gigante e della bambina, altra favola di un orco forse buono che lascia un sapore misterioso e obliquo nell’immaginario del ragazzino, facendo intravedere pregiudizio e ingiustizia.
Oppure Fumetto, sigla finale di Gli Eroi di Cartone, che ancora oggi - anche se solo per un istante - mi fa rivivere la gioia che provavo nel vedere quel programma televisivo, atteso tutta la settimana.

Dieci anni dopo, per le strade di Genova si respira aria grigia, terrea. I pantaloni a zampa di elefante e i Jeans Jesus raccontano della voglie frustrate e goffe di essere liberi.
Quale allegria, in effetti? La musica andina degli Inti-Illimani si ripeteva angosciosa da tre anni ormai e le uniche cose reali potevano essere quelle di uno stomp più disperato che erotico. Perché Genova è diversa dalla grassa Bologna e i bambini nei vicoli ti hanno sempre fatto credere che possono anche perdersi.
Nella stanzetta dell’adolescente risuonano Radio Genova Sound prima, Radio Spazio Libero poi e grazie ad esse le storie di Carmen Colon, forse la bambina del gigante di prima questa volta trascinata sull’asfalto urbano e violento degli Anni Settanta, senza giganti a proteggerla.
Note di speranza per un anno che verrà e che si spera migliore di quegli anni di piombo cui il ragazzo sfugge solo grazie a qualche anno di punk di differenza e per mileau familiare.
Note di un mare profondo di cui però non aveva mai ascoltato e forse capito abbastanza bene il testo, così trasportato da ritmica e melodia.

Nella solitudine dei pomeriggi post maturità dei primi Anni Ottanta, di fronte al fiorire dei primi videoclip e e delle TV private, sorridere un po’ snob alla vista del balletto del lupo. La ragazza più magra carina e la ragazza ciccia buffa, che però canta niente male. Per fortuna troppo distratti dal turbine del rock new wave inglese dove pulsa il nuovo.

Aula Magna dell’Università di Bologna. Il rettore consegna una delle prime lauree honoris causa al piccolo cantautore, molti anni prima che quelli milanesi di Stronzologia assegnassero lo stesso titolo ai Rossi vaschi e valentini. Già allora il giovane studente occhialuto pensa sia una bella cagata, ma non può fare a meno di sorridere per l’acutezza delle parole dell’uomo barbuto.

Altri dieci anni dopo, Via Massimo d’Azeglio, in visita di lavoro, non incontrarlo per sfortuna, ma ritrovarsi nelle sue stanze piene di opere d’arte contemporanea e comprendere di essere di fronte ad una grande intelligenza, debordante curiosità, umanità e voglia di vivere.
Alla Stazione Centrale di Roma partecipare alla presentazione del non troppo fortunato Henna.
Caruso mi impone di imbattermi nel suo nome quasi quotidianamente, tanto la canzone è famosa in tutto il mondo e domina la classifica degli incassi.

Stella di Mare, cantata da Mia Martini.

Oggi è partita la parata delle “preferite” ed è giusto così.
Dalle mie parti si guardano le classifiche di iTunes, e va bene così.
In Piazza Grande oggi si ricorda, è ok.

Non sono mai stato un fan di Lucio Dalla.
Ripasso sull’iPod le canzoni della sua playlist e mi rendo conto che ha segnato molti momenti della mia vita e che ieri a pranzo, tutti, anche i più accesi metallari, dicevano la stessa cosa.

18 febbraio 2012

It's the end of TV as we know it...

Da alcune settimane ho una mia personale cura contro l’insonnia.
A dirla tutta, non soffro affatto d’insonnia, almeno per ora.
La natura mi ha donato il privilegio di poggiare la testa sul cuscino e di ritrovarmi quasi subito sul diretto per Morfeo City.

Eppure - data l’aria che tira - anche a me è capitato recentemente di passare qualche notte bianca.
Visto che lo zapping televisivo sulle reti tradizionali soddisfa le mie curiosità antropologiche ma contribuisce anche ad accrescere l’ansia, è stato naturale dirigersi verso il pc la ricerca di un’alternativa calmante.

Vimeo si definisce “comunità di individui creativi, appassionati dall’idea di condividere i propri video”. A differenza di You Tube, dove chiunque può depositare qualsiasi video (e dove quindi la quantità domina sulla qualità, la sciatteria vince quasi sempre sull’originalità, l’intento informativo vince sull'estetica e la pubblicità fa violenta irruzione sempre più spesso), al contrario Vimeo propone video di qualità selezionati da una redazione specializzata.

Vimeo dà sfogo una forma espressiva piuttosto nuova e originale, se non nella sua forma (il cortometraggio) quanto meno nel modo in cui viene veicolata. E' proprio la rapida e immediata veicolazione in rete che incide sulla forma stessa. Si tratta di un tipo di arte visiva niente affatto riconducile ad un stile comune e tuttavia dotato di caratteristiche comuni: brevi documentari di pochi minuti fortemente influenzati dalla fotografia (spesso realizzati a basso costo con le nuove macchine fotografiche digitali o addirittura con l'iPhone, strumenti che permettono di filmare in alta definizione) e dal video musicale. Per poter esprimere tutto in pochi minuti, il montaggio è sempre molto veloce, i colori sono molto saturi, intenso l’uso di filtri digitali che sfocano parti di inquadratura e di focali che alternano con grande velocità il primo piano allo sfondo. Tecniche molto usate sono il Time-lapse e il CGI. Il dialogo è sacrificato - spesso del tutto assente - mentre grande importanza è data alla musica, in genere elettronica, spesso protagonista del video quanto l’immagine.

Benché in Vimeo esistano aree tematiche precise, ogni video può essere molto diverso dagli altri.
Così, durante questa navigazione, che assume spesso tratti un po' psichedelici, ti può venir voglia - gelo permettendo - di fare un viaggio in Danimarca per conoscere la gente della città di Vejle, cittadina di cinquantamila abitanti adagiata su un freddo braccio del Mare del Nord e dove la maggiore attrattiva sembra la vecchia nave rossa parcheggiata in porto (come si vede qui).

A tribute to the people of Vejle da sidewalktalk.dk su Vimeo.

Dopo Vejie si può fare un salto di migliaia di chilometri in pochi attimi e scoprire il breve video del regista Matthew Brown, vincitore di bando per  promozione della regione Basilicata, video suppongo pagato con i soldi dei contribuenti lucani ma che non mi risulta sia stato visto in giro almeno per ora (ed è un peccato perché ti fa venire voglia di partire al volo per Pisticci).

Dreaming It{aly} from Matthew Brown (Matty Brown) on Vimeo.

Infine ti può capitare di fare una visita a mozzafiato visivo in timelapse a Dubai.

Abraj: The two towers of Dubai da Philip Bloom su Vimeo.

Oppure ascoltare una versione decisamente originale di House of the Rising Sun.

The Animals House of the Rising Sun Old School Computer Remix da PURETUNE su Vimeo.

Vimeo insomma è un luogo di scoperte. Non luogo di serendipità, perché qui non si sta cercando nulla di particolare, ma qualcosa più simile all'esperienza del flâneur "digitale", la scoperta fatta casualmente durante un bighellonare che in questo caso non è per le strade di una città sconosciuta, ma in rete.
Vimeo è un buon rimedio intelligente per la tristezza della TV generalista o della programmazione televisiva tradizionale dominata dal quartetto film, serie TV, intrattenimento, informazione.
In attesa che anche da noi arrivino Netflix, Hulu, la vera Apple TV, Google TV e Amazon Tv, le tv on demand prossime venture; in attesa che arrivi la fine della tv come la conosciamo.

05 febbraio 2012

Le radici crescono solide sotto il manto della bellezza



Ho parlato recentemente con un figlio di amici che sta frequentando un'università umanistica a Milano. Gli ho chiesto se aveva trovato qualche professore che lo emozionasse, che gli facesse battere il cuore, accendere la luce dell'intelletto. Se gli capitava ogni tanto di andare all'università con la curiosità di scoprire cosa avrebbe ascoltato quel giorno.
Ha scosso la testa. Mi ha citato il nome di un professore, aggiungendo subito dopo che purtroppo quel prof. non c'era più da tempo.

E' allora che mi è venuto in mente il mio professore di Filosofia della Musica a Bologna, primi Anni Ottanta.

Nel dirigermi verso l'aula - sistemata nell'angusto sottoscala di un luogo che doveva in origine essere un magazzino - passavo di fronte alla sala professori, uno stanzino stretto che correva lungo un corridoio. La stanza, senza mobili a parte un lungo tavolo bianco e senza finestre, aveva nel bianco delle pareti l'unico ornamento e prendeva luce dalle vetrate del corridoio di passaggio e per questo gli studenti in transito vedevano facilmente chi c'era all'interno.

Al mio arrivo, il professore era di solito già lì, in piedi; passeggiando avanti e indietro per lo stretto locale ripeteva a voce alta tra sé e sé la lezione che avrebbe tenuto da lì a poco.

Alcuni compagni facevano un po' di ironia sottolineando la precisione e l'apparente rigidità dell'uomo che - complice l'erra moscia e la giacca con cravatta - poteva anche apparire un po' ingessato nel suo ruolo, forse al limite della pignoleria.
A me invece provocava ammirazione. Mi piaceva l'apparente fragilità che in realtà celava il coraggio di voler fare bene le cose. Forse lui stesso, persona riservata, che non cito perché non credo gradirebbe, l'avrà considerata una debolezza, un segno di insicurezza. Eppure per me era un segnale di cura e di attenzione per gli studenti cui pochi minuti dopo avrebbe trasmesso la sua conoscenza. Tanto che ancora oggi ricordo bene le sue lezioni.
Per me fu un'esperienza radicale, non nel senso oggi un po' abusato di "drastico", ma perché mi fece capire l'importanza di uno studio umanistico capace di andare alla radice dei problemi e delle cose con attitudine e metodologia scientifiche. E di come questa analisi sull'arte musicale e sulla bellezza fosse dotata a sua volta di una bellezza intrinseca.

Della mia tesi di laurea corresse tutto quello che c'era da correggere. Non solo il contenuto, ma anche la forma, fino alla punteggiatura. All'inizio la cosa mi innervosiva perché smascherava quanto la mia scrittura fosse povera e informe.
Se so scrivere decentemente oggi lo devo senza dubbio a lui e alla sua cura per il  dettaglio.

Di persone così per fortuna ne ho incontrate altre. Non sono molte, ma esistono. Oggi le so riconoscere quasi a prima vista e provo una immediata affinità con la loro discreta e disinteressata cura del dettaglio.
Oggi al telefono ne ho salutata una che il meccanismo impazzito delle multinazionali spazzerà via insieme a decine di altre persone. Ma questa è un'altra storia, o forse no.
Foto © Arimondi

28 gennaio 2012

Serendipità, nostalgia dell'inatteso


In un articolo tratto dal numero di dicembre di Intelligent Life, supplemento bimestrale di The Economist, ho trovato alcune considerazioni interessanti su un concetto che mi ha sempre incuriosito e il cui significato non avevo mai approfondito.
Il concetto è serendipità (dall'inglese serendipity) e la sua analisi si collega ad alcuni temi molto attuali, come quello del controllo e dell’influenza che strumenti della rete sempre più potenti e sofisticati come motori di ricerca o social network posso avere sulla nostra vita quotidiana, sulle nostre scelte e sulla nostra evoluzione culturale.

Il termine serendipity fu creato da Horace Walpole, aristocratico e scrittore dilettante che riportò ad un amico la leggenda dei Tre Prìncipi di Serendip. I tre fratelli, educati alle scienze empiriche e inviati in viaggio dal padre, se la cavavano nelle vicende più difficili grazie alla scoperta di cose sempre inaspettate, un po' per fortuna, un po' acutezza di spirito ed intelligenza.

Questo è proprio ciò che caratterizza la serendipità: la capacità di scoprire nuove cose interessanti e inattese in modo casuale mentre si è alla ricerca di altro. Presupposto per queste scoperte è la sagacia e lo spirito di osservazione. La serendipità presuppone anche una certa inefficienza, la non-pianificazione ed esclude la fretta e la mancanza di tempo.
Basta citare il forno a microonde, il Prozac, il Viagra e il pianeta Urano: scoperte che avvennero casualmente mentre gli scienzati stavano cercando qualcos'altro.


Anche la città è luogo ideale per le scoperte casuali, luogo eletto per il flâneur, ovvero per colui che gira per la città a naso all'aria per scoprire nuove cose ma senza una mappa (ma di questo simpatico personaggio da cui sono affascinato parleremo un’altra volta).

Il punto dell'articolo dell’Economist è che oggi il web rischia di ridurre le opportunità di trovare per caso cose che non cerchiamo e che in seguito saremmo contenti di aver trovato.
Apparentemente verrebbe da pensare il contrario: in rete basta qualche click casuale per ritrovarsi in mondi sconosciuti.
Ma Internet non è più un luogo di surfing come lo si immaginava all'origine: spazio virtuale infinito dove avremmo potuto imbatterci in meraviglie e stimoli inaspettati che avrebbero dato il via a nuove scoperte.
Nella pratica questo non accade quasi più: in parte per la pigizia che ci rinchiude nelle confortevoli quattro mura dei nostri bookmarks, feed e delle amicizie dei social network e che ci porta spesso a navigare con la stessa abitudinarietà con cui si passa alla sera a sbirciare nella casella della posta sotto casa per contollare se è arrivata qualche lettera.
Ma non accade più anche perché i siti che visitiamo tendono sempre di più a indirizzarci verso contenuti basati sulle nostre preferenze: i social network per esempio, ma anche i “suggerimenti” di negozi on-line come Amazon. In quest'ultimo caso, da tempo ormai il negozio virtuale di cui sono cliente mi propone solo musica che gravita intorno all’universo indie o rock anni '60-'70 e mai che gli venga in mente di propormi Gesualdo da Venosa, György Ligeti o Burt Bacharach, che pure fanno parte della mia formazione musicale.

In confronto, il quotidiano cartaceo tradizionale – anche quello più ideologicamente orientato - sembra più efficace nel indirizzare il lettore verso nuove scoperte casuali grazie all'impaginazione, che può farti incontrare argomenti inattesi. Si pensi all’importanza che aveva la Terza Pagina nel accostare tra loro argomenti stimolanti ma molto diversi tra loro.
Al contrario, alcuni quotidiani on-line già tendono a consigliarti gli articoli che sono piaciuti ai tuoi amici di Facebook.

Google ti invita a personalizzare il tuo profilo affinché le tue ricerche diano risultati “migliori”, più “adatti” a te, perché basati sulle tue indagini precedenti, sul luogo in cui vivi, sulle preferenze degli amici e, grazie alla geolocalizzazione di cui sono dotati oggi molti cellulari, sui luoghi che hai visitato. Propone tutto ciò come un grande vantaggio mirato a semplificarti la vita. Nella recente policy che unificherà tutti i prodotti Google si parla di esperienza "su misura per te".

In alcuni casi ciò può essere effettivamente vantaggioso perché propone ciò che cerchi; d’altra parte - per ovvi motivi commerciali - tende a non distrarti da ciò che con più facilità finirai per acquistare.
In ciò ricorda un po’ tristemente i canali televisivi Mediaset, quando negli Anni Ottanta e Novanta presero possesso del cervello di una gran parte degli italiani con la loro melassa di mediocre banalità tranquillizzante e ripetitiva, mirata a livellare verso il basso ogni curiosità in favore dell’ingurgitare pubblicità.

Il Web è diventato un luogo ideale per soddisfare i tuoi desideri e per farti trovare ciò che cerchi, ma appare meno efficace nel farti trovare nuove cose.
E spesso, si sa, sono le cose nuove quelle che forniscono stimoli per sviluppare nuove idee e perché no, magari cambiare in meglio la propria vita.



Tutte le foto © Arimondi