05 febbraio 2012

Le radici crescono solide sotto il manto della bellezza



Ho parlato recentemente con un figlio di amici che sta frequentando un'università umanistica a Milano. Gli ho chiesto se aveva trovato qualche professore che lo emozionasse, che gli facesse battere il cuore, accendere la luce dell'intelletto. Se gli capitava ogni tanto di andare all'università con la curiosità di scoprire cosa avrebbe ascoltato quel giorno.
Ha scosso la testa. Mi ha citato il nome di un professore, aggiungendo subito dopo che purtroppo quel prof. non c'era più da tempo.

E' allora che mi è venuto in mente il mio professore di Filosofia della Musica a Bologna, primi Anni Ottanta.

Nel dirigermi verso l'aula - sistemata nell'angusto sottoscala di un luogo che doveva in origine essere un magazzino - passavo di fronte alla sala professori, uno stanzino stretto che correva lungo un corridoio. La stanza, senza mobili a parte un lungo tavolo bianco e senza finestre, aveva nel bianco delle pareti l'unico ornamento e prendeva luce dalle vetrate del corridoio di passaggio e per questo gli studenti in transito vedevano facilmente chi c'era all'interno.

Al mio arrivo, il professore era di solito già lì, in piedi; passeggiando avanti e indietro per lo stretto locale ripeteva a voce alta tra sé e sé la lezione che avrebbe tenuto da lì a poco.

Alcuni compagni facevano un po' di ironia sottolineando la precisione e l'apparente rigidità dell'uomo che - complice l'erra moscia e la giacca con cravatta - poteva anche apparire un po' ingessato nel suo ruolo, forse al limite della pignoleria.
A me invece provocava ammirazione. Mi piaceva l'apparente fragilità che in realtà celava il coraggio di voler fare bene le cose. Forse lui stesso, persona riservata, che non cito perché non credo gradirebbe, l'avrà considerata una debolezza, un segno di insicurezza. Eppure per me era un segnale di cura e di attenzione per gli studenti cui pochi minuti dopo avrebbe trasmesso la sua conoscenza. Tanto che ancora oggi ricordo bene le sue lezioni.
Per me fu un'esperienza radicale, non nel senso oggi un po' abusato di "drastico", ma perché mi fece capire l'importanza di uno studio umanistico capace di andare alla radice dei problemi e delle cose con attitudine e metodologia scientifiche. E di come questa analisi sull'arte musicale e sulla bellezza fosse dotata a sua volta di una bellezza intrinseca.

Della mia tesi di laurea corresse tutto quello che c'era da correggere. Non solo il contenuto, ma anche la forma, fino alla punteggiatura. All'inizio la cosa mi innervosiva perché smascherava quanto la mia scrittura fosse povera e informe.
Se so scrivere decentemente oggi lo devo senza dubbio a lui e alla sua cura per il  dettaglio.

Di persone così per fortuna ne ho incontrate altre. Non sono molte, ma esistono. Oggi le so riconoscere quasi a prima vista e provo una immediata affinità con la loro discreta e disinteressata cura del dettaglio.
Oggi al telefono ne ho salutata una che il meccanismo impazzito delle multinazionali spazzerà via insieme a decine di altre persone. Ma questa è un'altra storia, o forse no.
Foto © Arimondi

2 commenti:

listener-mgneros ha detto...

come sempre leggerti è scivolare in cose profonde e belle

Arimondi ha detto...

Per esempio scivolare nel sonno? ;-)