18 febbraio 2012

It's the end of TV as we know it...

Da alcune settimane ho una mia personale cura contro l’insonnia.
A dirla tutta, non soffro affatto d’insonnia, almeno per ora.
La natura mi ha donato il privilegio di poggiare la testa sul cuscino e di ritrovarmi quasi subito sul diretto per Morfeo City.

Eppure - data l’aria che tira - anche a me è capitato recentemente di passare qualche notte bianca.
Visto che lo zapping televisivo sulle reti tradizionali soddisfa le mie curiosità antropologiche ma contribuisce anche ad accrescere l’ansia, è stato naturale dirigersi verso il pc la ricerca di un’alternativa calmante.

Vimeo si definisce “comunità di individui creativi, appassionati dall’idea di condividere i propri video”. A differenza di You Tube, dove chiunque può depositare qualsiasi video (e dove quindi la quantità domina sulla qualità, la sciatteria vince quasi sempre sull’originalità, l’intento informativo vince sull'estetica e la pubblicità fa violenta irruzione sempre più spesso), al contrario Vimeo propone video di qualità selezionati da una redazione specializzata.

Vimeo dà sfogo una forma espressiva piuttosto nuova e originale, se non nella sua forma (il cortometraggio) quanto meno nel modo in cui viene veicolata. E' proprio la rapida e immediata veicolazione in rete che incide sulla forma stessa. Si tratta di un tipo di arte visiva niente affatto riconducile ad un stile comune e tuttavia dotato di caratteristiche comuni: brevi documentari di pochi minuti fortemente influenzati dalla fotografia (spesso realizzati a basso costo con le nuove macchine fotografiche digitali o addirittura con l'iPhone, strumenti che permettono di filmare in alta definizione) e dal video musicale. Per poter esprimere tutto in pochi minuti, il montaggio è sempre molto veloce, i colori sono molto saturi, intenso l’uso di filtri digitali che sfocano parti di inquadratura e di focali che alternano con grande velocità il primo piano allo sfondo. Tecniche molto usate sono il Time-lapse e il CGI. Il dialogo è sacrificato - spesso del tutto assente - mentre grande importanza è data alla musica, in genere elettronica, spesso protagonista del video quanto l’immagine.

Benché in Vimeo esistano aree tematiche precise, ogni video può essere molto diverso dagli altri.
Così, durante questa navigazione, che assume spesso tratti un po' psichedelici, ti può venir voglia - gelo permettendo - di fare un viaggio in Danimarca per conoscere la gente della città di Vejle, cittadina di cinquantamila abitanti adagiata su un freddo braccio del Mare del Nord e dove la maggiore attrattiva sembra la vecchia nave rossa parcheggiata in porto (come si vede qui).

A tribute to the people of Vejle da sidewalktalk.dk su Vimeo.

Dopo Vejie si può fare un salto di migliaia di chilometri in pochi attimi e scoprire il breve video del regista Matthew Brown, vincitore di bando per  promozione della regione Basilicata, video suppongo pagato con i soldi dei contribuenti lucani ma che non mi risulta sia stato visto in giro almeno per ora (ed è un peccato perché ti fa venire voglia di partire al volo per Pisticci).

Dreaming It{aly} from Matthew Brown (Matty Brown) on Vimeo.

Infine ti può capitare di fare una visita a mozzafiato visivo in timelapse a Dubai.

Abraj: The two towers of Dubai da Philip Bloom su Vimeo.

Oppure ascoltare una versione decisamente originale di House of the Rising Sun.

The Animals House of the Rising Sun Old School Computer Remix da PURETUNE su Vimeo.

Vimeo insomma è un luogo di scoperte. Non luogo di serendipità, perché qui non si sta cercando nulla di particolare, ma qualcosa più simile all'esperienza del flâneur "digitale", la scoperta fatta casualmente durante un bighellonare che in questo caso non è per le strade di una città sconosciuta, ma in rete.
Vimeo è un buon rimedio intelligente per la tristezza della TV generalista o della programmazione televisiva tradizionale dominata dal quartetto film, serie TV, intrattenimento, informazione.
In attesa che anche da noi arrivino Netflix, Hulu, la vera Apple TV, Google TV e Amazon Tv, le tv on demand prossime venture; in attesa che arrivi la fine della tv come la conosciamo.

05 febbraio 2012

Le radici crescono solide sotto il manto della bellezza



Ho parlato recentemente con un figlio di amici che sta frequentando un'università umanistica a Milano. Gli ho chiesto se aveva trovato qualche professore che lo emozionasse, che gli facesse battere il cuore, accendere la luce dell'intelletto. Se gli capitava ogni tanto di andare all'università con la curiosità di scoprire cosa avrebbe ascoltato quel giorno.
Ha scosso la testa. Mi ha citato il nome di un professore, aggiungendo subito dopo che purtroppo quel prof. non c'era più da tempo.

E' allora che mi è venuto in mente il mio professore di Filosofia della Musica a Bologna, primi Anni Ottanta.

Nel dirigermi verso l'aula - sistemata nell'angusto sottoscala di un luogo che doveva in origine essere un magazzino - passavo di fronte alla sala professori, uno stanzino stretto che correva lungo un corridoio. La stanza, senza mobili a parte un lungo tavolo bianco e senza finestre, aveva nel bianco delle pareti l'unico ornamento e prendeva luce dalle vetrate del corridoio di passaggio e per questo gli studenti in transito vedevano facilmente chi c'era all'interno.

Al mio arrivo, il professore era di solito già lì, in piedi; passeggiando avanti e indietro per lo stretto locale ripeteva a voce alta tra sé e sé la lezione che avrebbe tenuto da lì a poco.

Alcuni compagni facevano un po' di ironia sottolineando la precisione e l'apparente rigidità dell'uomo che - complice l'erra moscia e la giacca con cravatta - poteva anche apparire un po' ingessato nel suo ruolo, forse al limite della pignoleria.
A me invece provocava ammirazione. Mi piaceva l'apparente fragilità che in realtà celava il coraggio di voler fare bene le cose. Forse lui stesso, persona riservata, che non cito perché non credo gradirebbe, l'avrà considerata una debolezza, un segno di insicurezza. Eppure per me era un segnale di cura e di attenzione per gli studenti cui pochi minuti dopo avrebbe trasmesso la sua conoscenza. Tanto che ancora oggi ricordo bene le sue lezioni.
Per me fu un'esperienza radicale, non nel senso oggi un po' abusato di "drastico", ma perché mi fece capire l'importanza di uno studio umanistico capace di andare alla radice dei problemi e delle cose con attitudine e metodologia scientifiche. E di come questa analisi sull'arte musicale e sulla bellezza fosse dotata a sua volta di una bellezza intrinseca.

Della mia tesi di laurea corresse tutto quello che c'era da correggere. Non solo il contenuto, ma anche la forma, fino alla punteggiatura. All'inizio la cosa mi innervosiva perché smascherava quanto la mia scrittura fosse povera e informe.
Se so scrivere decentemente oggi lo devo senza dubbio a lui e alla sua cura per il  dettaglio.

Di persone così per fortuna ne ho incontrate altre. Non sono molte, ma esistono. Oggi le so riconoscere quasi a prima vista e provo una immediata affinità con la loro discreta e disinteressata cura del dettaglio.
Oggi al telefono ne ho salutata una che il meccanismo impazzito delle multinazionali spazzerà via insieme a decine di altre persone. Ma questa è un'altra storia, o forse no.
Foto © Arimondi