08 settembre 2008

Numeri Primi

Una cara amica, che qui si chiamerà E.d.L. , non ha (per ora) grande dimestichezza con i blog, ma ha invece confidenza con la scrittura (e l'arte).
Mi ha mandato queste righe sul libro di Paolo Giordano
La solitudine dei numeri primi, che, come si dice, "volentieri pubblichiamo".
E' un libro di cui si parla molto e sembra generalmente apprezzato, per cui qualcuno qui intorno che l'ha letto (e magari vuole dirci cosa ne pensa) c'è di sicuro. Io non l'ho ancora fatto ma lo farò.


Non leggevo così d’un fiato da moltissimo tempo. Mia Madre mi aveva detto che era un libro che ti sollecitava ad andare avanti. Come un giallo. Ma non sapevo esattamente cosa aspettarmi, anzi, dalla presentazione seguita sulla terrazza del Castello di Acicastello (CT), in una serata torrida con l’autore arrostito sotto i riflettori, non avevo affatto ricevuto l’impressione che si trattasse di un vero e proprio romanzo. Piuttosto di racconti sull’infanzia e l’adolescenza.

Non è così. Il libro esplora molto di più, con una costruzione narrativa leggera, e per me nuova.

Tratta della vita degli studenti di una classe. Tutti legati da coincidenze, eventi, malesseri e cattiverie contorte. Ad ogni capitolo ti aspetti che il registro cambi, che non vi sia ancora un filo di Arianna che conduca al prossimo scenario. Le inquadrature sono compiute in sé, tanto quanto in relazione le une alle altre. Molto gradatamente siamo spinti in avanti da piccoli colpi di scena, che svolgono l’impeccabile struttura narrativa.

Il destino gioca un grande ruolo, lieve e ineluttabile come un vento serale. Può ritardare di un’ora, non di più. I personaggi entrano in rotta di collisione, per poi schivarsi all’ultima frazione di secondo. Giordano non indulge, dice le cose come stanno, riesce a non trasfigurare, se non nei momenti in cui entra sinuoso nelle fantasie dei personaggi, allora descrive metafore matematiche e fenomeni fisici ammalianti. La tensione superficiale dei liquidi, i moti convettivi e altre meraviglie dell’universo restituiscono a chi legge, un senso di genuino rapimento davanti alla vita. In quei momenti il silenzio siderale afferma l’armonia delle cose che funzionano come devono.

L’estetica del testo riposa lì, in questi spazi mentali e reali ad un tempo, che restano imperturbati dagli accidenti mondani. Un contrappasso meraviglioso nella narrazione.

Non sono solo storie psicologiche di bambini deprivati della fantasia e del coraggio di vivere se stessi con fiducia. Nemmeno storie soltanto di un'infanzia sola, senza un filtro che medi il loro primo impatto con il mondo. Sono storie di figli, i cui genitori sono descritti quasi sempre seduti davanti ad un televisore. Paralizzati da vicende immense e indigeribili, anche dopo anni. Genitori soli, privi di famiglia estesa o spazio sociale. La vita di queste famiglie mostra l’eccessivo tempo di esposizione che i figli vivono rispetto alle disfunzioni familiari. Emerge la loro fatica ad emanciparsi e a conciliare il sunto del dare e dell’avere, nel rapporto familiare.

Giordano tratta di un modo di vivere e crescere molto introflesso, che si auto-ausculta senza davvero ricevere sollecitazioni ad un rapporto su scala maggiore, o quanto meno diversa. L’esterno sociale non riguarda la crescita di queste persone. Questa è la realtà. Non ci sono termini di confronto ampi e l’unità di misura è dettata soltanto da se stessi.

La bambina Alice, da angelo delle nevi diventa donna trentenne, con da sempre appresso la sua brava anoressia. Ne seguiamo il tracciato, i giochi terribili della tempistica di conversazioni difficili, sulle quali gioca un’intera vita. I movimenti dell’anima sono un territorio fascinoso e irregolare che attrae l’autore tanto quanto quelli dell’esattezza algebrica. Qualcosa che crescerà ancora, credo, facendo cadere giù qualche velatura di colore forse troppo netta.

Mi aspettavo un libro dalla scrittura molto discorsiva, colloquiale. Così mi avevano detto. Ho letto un libro in cui il gergo corrente fa capolino e poi se ne sta buono al suo posto. Dove gli dice di stare Giordano. I registri linguistici sono vari. Non ho riscontrato dipendenza rispetto a nessuno di essi.

Il testo è orchestrato con immenso lavoro di ripulitura. In questo gran lavoro riconosco la virtù di non perdere immediatezza.
Un libro da rileggere ancora.

E.d.L.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

non c'entra niente col post.
posso linkarti al mio blog?
:-)

Arimondi ha detto...

Ne sarei onorato, raffis!

Anonimo ha detto...

grazie :-)
fatto.