05 ottobre 2009

Del pensiero solitario, che ricompone

All’inizio della vacanza di questa estate, la gioia del Tempo Libero e del presente era comunque interrotta da una inquitudine indefinibile, che ronzava sullo sfondo, non legata a nulla in particolare. Una specie di intossicazione del pensiero il cui veleno faticava a disperdersi.

Un ronzio come quello della Città Grigia, ma non sonoro, bensì conficcato nelle profondità del cuore.

Mentre scrivevo davanti allo schermo, lo specchio qui sopra rimandava la mia immagine. A destra, fiori artificiali - tulipani, rami d’ulivo - con il loro doppio speculare; di fronte la vista mozzafiato di una penisola della Grecia continentale. E il mio viso stancato e consumato da un altro anno di Milano sembrava col passare dei giorni sempre un po’ più sorridente, sicuramente più colorito, anche se le rughe che ricordano mio padre apparivano, e sono, più profonde dell’anno scorso.

Mi chiedevo: che cosa offusca la contemplazione serena di questa bellezza?

Poi credo di aver trovato la causa. La frammentazione del pensiero.

Ecco ciò che mi ha annichilito nei mesi pre-estivi. Risultato di una abitudine lavorativa a risolvere con rapidità tanti problemi consecutivi. Una costrizione alla sintesi che è obbligo del mio tempo. Un obbligo all’abbandono dell’analisi, perché non c’è tempo per analizzare, ma solo per risolvere poblemi in tempi rapidi e secondo le priorità.

“Priorità” altro termine cardinale del nostro modo di vivere. Come se si dovesse sempre mettere le cose in fila.

A decisioni sintetiche per i problemi standardizzati, la decisione analitica per i problemi che esulano dallo standard. Ecco perché forse le cose non vanno tanto bene. Forse tutti stiamo perdendo l’abitudine all’analisi, la capacità di guardare ai problemi che vanno oltre il contingente.

Tutti a sintetizzare e a vivere aforisticamente, anche nella vita come se fossimo sempre a commentare su Facebook o Twitter.

Le giornate di vacanza passavano. Lentamente, nella solitudine delle sere stellate, nella solitudine di un tuffo in mare all’alba, nella solitudine di un libro, ho poi recuperato l’unione di me.

Dunque, solo nella solitudine è possibile ricomporre i frammenti di se stessi (era questa, Zaio, forse la solitudine cui inconsciamente mi riferivo nei post precedenti)?

Mi manca quindi la solitudine, la mia peggior nemica?

Oppure dietro il lieve sollievo della solitudine c’è solo qualcos’altro nascosto nell’ombra. Forse la vita rigenerata. Un battito? Perché ora mi sembra che, al di là della solitudine, sia sempre la forza vitale a vincere.

14 commenti:

Anonimo ha detto...

post rivelatore..rifletterò.

Arimondi ha detto...

Madison, però da quello che capisco, di questi tempi vai alla grande. Goditi la rovente sintesi del dance floor...
A me fa effetto vedere la schiacciante supremazia di Facebook sui blog, ma io sono un umanista over forty.

Anonimo ha detto...

credo solo di essere uscito dalle sabbie mobili, ecco.
credo non sia una questione di concorrenza, lo sbilanciamento verso facebook è dato credo da una forte abitudine "usa&getta" che contraddistingue diverse generazioni. il rischio è l'appiattimento del messaggio, certo, ma le possibilità di comunicazione del social network sono enormi.. e io ci credo, almeno un pò, che la comunicazione sia sinonimo di libertà.

Arimondi ha detto...

Sì hai ragione, Facebook, blog, twitter sono mezzi di comunicazione essenziali per la libertà. Sappiamo a cosa ci stiamo riferendo. E vanno bene tutti. Trovo il blog un mezzo di comunicazione più "caldo", ma, ripeto, è una questione di gusti.

andrea sessarego ha detto...

Un post veramente tosto. Rimango sempre ammirato da chi riesce ad andare così in profondità e a riuscire a scriverlo, per me è molto difficile. Anch'io sono molto preso da facebook ultimamente e ho avuto un pò di crisi sul blog, a volte propongo le stesse cose di qua e di là, ma molto più spesso no, ora che so come dividermi tra le due cose. E' vero che su facebook il linguaggio è molto più frammentato, più sintetico, quasi da sms, mentre il blog ti permette di approfondire un pò di più. Anche se bisogna raggiungere un livello giusto che non appesantisca troppo, altrimenti uno legge le prime righe e poi basta, un pò come le versioni on line dei giornali, di cui difficilmente leggiamo TUTTE le pagine, basta qualche accenno qua e là. Il mio commento sta diventando troppo lungo??? AZZZ!

Man of Roma ha detto...

Varie cose. Innanzitutto un post sincero e profondo.

“La frammentazione …nella solitudine … ho poi recuperato l’unione di me”. Anche io spesso ho bisogno di ritrovarmi nella solitudine. Ma non tutti sono così, c’è chi si ritrova solo e sempre con la comunicazione umana. Ognuno ha diritto di esser fatto come è fatto.

Le rughe sono *sempre* più profonde rispetto all’anno prina, Arimo’, te ne accorgerai.

Quanto ai blog e ai social network: per me sono due cose molto diverse, entrambe interessanti. Vanno più di moda i twitter e i Facebook oggi? E chissenefrega delle mode.

A mio avviso però solo il blog permette una certa profondità e riflessione, per “uscire dal contingente”, come il tuo post sul tuo blog mi sembra dimostri.

Arimondi ha detto...

Grazie dei commenti!
Hai ragione Andrea, i post lunghi sui blog sono spesso un tormento. Ma questo è un problema per chi li scrive e rischia di non venir letto. Ogni forma ha le sue regole compositive. E comunque, alla fine, i lettori ce li si guadagna con il contenuto più che con la forma. Non siamo mica su Vogue o Rolling Stone, qui (:-))
Uomo di Roma, ho letto ora un bell'articolo dell'Internazionale sul carcere in isolamento. Quella sì che è una forma radicale di solitudine! Quella che ti uccide. Tanto per dire che tutto è relativo.

Franco Zaio ha detto...

"Io attribuisco alla solitudine ogni forma di virtù, che non sempre possiede; la confondo con il raccoglimento e la meditazione, con la delicatezza dei sentimenti e dell'intelligenza, con la severità personale temperata dall'ironia e con l'agilità della mente" (Drieu de la Rochelle, Racconto segreto, SE).
Per me il blog è la fanzine che volevo fare da ragazzo: solo un po' meno musicofila, solo un po' meno entusiasta.
Non mi aspetto più niente da nessuno. Nemmeno da me stesso. Amen.

Arimondi ha detto...

Che bella citazione Franco. Riassume un po' questi thread sulla solitudine, stato della mente e del corpo che alla fine ognuno di noi può rimpire di significati diversi. Da parte mia riesco a ricostruire me stesso solo attraverso il rifugio, anche per breve tempo, in me stesso, nella mia solitudine.

E anche io da tempo non mi aspetto nulla da nessuno. Ne guadagno in salute.
Con l'eccezione di coloro che amo. Con loro ho la debolezza e l'illusione di aspettarmi sempre troppo. Con il dubbio di non dare mai abbastanza.

Franco Zaio ha detto...

Occhio però: Drieu de la Rochelle sostiene anche che la solitudine è un cammino verso la morte, lui infatti si uccise...
Anche io come te, più amaro però: so di non dare mai abbastanza, e comincio a non aspettare nè pretendere granchè.

Arimondi ha detto...

Penso che in un pensiero fino ci stia anche quella opzione.

Man of Roma ha detto...

Anche io non mi aspetto nulla, specie da me, ma nemmeno dagli altri. Mi succede di imbozzolarmi sempre di più, soprattutto con gli anni che passano [spero non un cammino verso la morte, come dice Drieu de la Rochelle]. Insomma forse sono un po' autistico. Ognuno ha diritto a essere quello che è, è vero, ma non credo faccia bene, la tendenza all'autismo. La famiglia, gli amici - che ormai nel mio caso sono rarefatti - hanno un po' la funzione dell'antidoto.

PS
Non so a voi, ma a me scrivere su un blog mi favorisce l'imbozzolamento.

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e