27 dicembre 2007

Estetico (II)

- segue dal post precedente

L’estetico come lo intende Perniola non è però una sovrastruttura leziosa, un ingenuo affidarsi al “bello” della vita o dell’arte, bensì un atteggiamento che affonda le radici nella nascita della società borghese dell’Ottocento, dalla sua volontà di sottrarsi al principi dell’egoismo e dello sfruttamento e di una visione delle energie umane viste come fine e non come mezzo, coadiuvate da memoria e immaginazione.

Un atteggiamento che, cosa importante, si rende autonomo dal rigore assoluto della Logica (il pensiero scientifico) o dal rigore dalla Morale (il pensiero religioso). Senza rinnegare i bisogni e le aspettative degli individui (che anzi, nell’arte sono centrali, anche nelle forme artistiche più estreme) e senza essere vittima della ricerca dell’arricchimento economico o del successo ad ogni costo.

Ma chi può mettere in pratica l’estetico? Solo gli artisti?

Perniola parla dei ricercatori, dei professionisti, degli insegnanti e arriva addirittura – e ciò mi colpisce in modo particolare - a includere la burocrazia, capace anch’essa di trovare soluzioni tecniche qualificanti per la società.

“Il capitale culturale del ricercatore scientifico, del burocrate, del professionista, dell’insegnante segue gli stressi criteri che presiedono alla formazione del capitale estetico dell’artista. Il loro statuto si fonda su un habitus disinteressato che sollecita un riconoscimento e una ricompensa proprio in virtù del fatto che prescinde dall’interesse economico.
Una società che non è più disposta a ricambiare il dono disinteressato dei suoi ricercatori, burocrati, professionisti, insegnanti, artisti... è destinata a perire, così come la famiglia, una chiesa o un’amicizia che si regga esclusivamente su rapporti commerciali negoziati.” (pag. 73-74).

- continua (2)

2 commenti:

Franco Zaio ha detto...

Avevo letto anch'io questo libro, e mi era piaciuto un sacco. Col tempo però ho la sensazione che "quelle" società/organizzazioni non siano affatto destinate a perire, e quell'apporto disinteressato, per quanto autogratificante, è da coglioni.

Arimondi ha detto...

Noi sappiamo che lavoro fai, perché ce ne parli quotidianamente. Non devo certo essere io a valorizzare il tuo lavoro perché non ce n'è bisogno, tuttavia secondo me un esperto di saggistica letteraria è una figura che qualsiasi città dovrebbe coltivare e valorizzare. Tu non produci solo fatturato per la tua azienda ma un valore aggiunto culturale inestimabile per le centinaia di persone che ogni giorno ti vengono a chiedere informazioni. In più mi pare che sia un negozio di libri dove tutti i clienti appaiono sempre (o quasi) sereni.