06 luglio 2010

Paura di tutti

In alta rotazione nella mia playlist mensile, una di quelle canzoni che non capisci bene quanto dipingano una visione del mondo che rifiuti e quanto invece descrivano la realtà che non sai o puoi sfuggire.

Afraid of everyone, The National (da High Violet, 2010)

Venom radio and venom television
I'm afraid of everyone, I'm afraid of everyone
They're the young blue bodies
With the old red bodies
I'm afraid of everyone, I'm afraid of everyone
With my kid on my shoulders I try

Not to hurt anybody I like
But I don't have the drugs to sort
I don't have the drugs to sort it out
Sort it out

I'll defend my family with my orange umbrella
I'm afraid of everyone, I'm afraid of everyone
With my shining blue star
Spangling tennis shoes on
I'm afraid of everyone, I'm afraid of everyone

With my kid on my shoulders I try
Not to hurt anybody I like

But I don't have the drugs to sort
I don't have the drugs to sort it out
Sort it out
I don't have the drugs to sort it out
Sort it out

Your voice is swallowing my soul, soul, soul.

30 giugno 2010

Velo blu

Un amico mi chiede un estratto dal libro di Pierre Boulez, Punti di riferimento. Einaudi, 1984.

Salgo sulla scaletta per recuperarlo.
Tolgo il dito di polvere.
Dal libro casca la cartolina di un volto coperto da un velo blu.
Fernand Khnopff, der blau Schleier, il velo blu (1909).
Ricordo del dono di una persona sensibile, che mi chiedo ogni tanto dove sia ora.

La mia scrittura piccola e precisa, a matita, fa capolino all'inizio dei paragrafi per indicare un'evidenza o un'emergenza.
Il tempo in cui potevo e volevo essere attento e dedicato al dettaglio, il tempo (perduto) in cui scrivevo spesso a mano (e la mia scrittura era quasi comprensibile a me e agli altri). Il tempo del sentimento travolgente, il tempo per parlare e per dedicare molto tempo ai libri, il tempo delle massime curiosità e delle grandi incertezze.

E' normale avere nostalgia di un tempo così lontano. Una delle fasi del mosaico.

24 giugno 2010

Swallowed

Due serate intere dico due totalmente consumate, divorate, ingioate nel tentativo (inutile) di:

1. Installare per il figlio "pacifista" Modern Warfare 2 su Windows 7 Home Edition senza che tutto vada in crash ogni dieci minuti.
2. Dimostrare a Microsoft che la copia di Windows 7 Home Edition che ho acquistato insieme al PC è originale e non contraffatta come invece mi viene continuamente ricordato (quasi fossi un criminale) da un odiosa finestra che disturba il lavoro (e non ditemi che devo passare ad Apple, lo so).
3. Tentare di fare una ricarica sul cellulare di mio figlio dal sito Vodafone convincendo sia il sito, sia una signorina petulante del 190 che non è vero che la mia carta di credito è scaduta.

Il nostro tempo barbaramente consumato dalla tecnologia che ci siamo cercati.

17 giugno 2010

Un borghese piccolo piccolo. Sempre più piccolo. Anzi sparito



Alla cena di fine anno della classe del figlio piccolo assisto dal vivo al racconto della lenta decadenza della media borghesia italiana.
I piccoli imprenditori della Milano Anni Ottanta e Novanta - pubblicità, agenzie di comunicazioni, servizi alle aziende - annaspano nella mancanza di lavoro, di commesse e per la prima volta - dopo anni in cui hanno potuto permettersi molto e spesso di più (e a molti non faranno pena) - vedono ridurre le capacità di spesa fino a cominciare a porsi l'interrogativo sul futuro, loro e dei loro figli.
Non è catastrofe come per chi perde il posto di lavoro, ma questo solo grazie a quanto è stato messo da parte negli anni migliori da loro stessi o dai loro padri.

Gli anni scorsi era un bisbiglio. Un imprenditore non mostra mai di essere in difficoltà.
Oggi questo sussurro è una preso d'atto di fronte a ormai troppi anni duri. E se ne parla apertamente, nel mal comune, senza gaudio.
Non so se saranno loro i primi a scendere in piazza, o se più probabilmente - forzati al cambiamento - saranno gli artefici di un rinnovamento dell'impreditoria italiana, avendo rappresentato per anni una parte vitale e creativa della società Italiana.

Noi altri, non imprenditori (impiegati, medici ospedalieri, insegnanti, funzionari del pubblico o, come me, del privato) ascoltiamo silenziosi, accarezzando nel profondo del nostro cuore il nostro lavoro, sentendoci tutti in verità come appesi ad un filo.
Il filo di quella famosa e tanto decantata "filiera" dei trattati di marketing, la cui trama appare più sottile ogni giorno che passa.
Alcune parole magiche illuminano gli sguardi di questi imprenditori. Energia rinnovabile, fotovoltaico.
Conciliare il profitto con la tutela del luogo in cui viviamo?

Provare a scrollarsi le paure e immaginare che il cambiamento porti qualcosa di buono.

15 giugno 2010

Il bello della Tafelmusik

Per Tafelmusik non intendo la Musica da Tavola come la si intendeva nel Seicento, ovvero quell'insieme di composizioni musicali create apposta per i banchetti.

Ma neppure un simpatico tavolo musicale multicolore per bambini.

Di musica, a tavola, ho la fortuna di parlare spesso con alcuni miei colleghi di lavoro.

Data la leggera differenza di età (50-45-40-35), abbiamo vissuto momenti della storia della musica recente diversi ed ho ognuno ha un periodo, un genere che lo ha segnato in modo più o meno profondo.


Chi il fulgore del rock Anni Sessanta/Settanta e il jazz, chi - come il sottoscritto - il Punk e la New Wave degli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, chi l'evoluzione del Metal dai Black Sabbath ai Metallica, chi infine il vasto ambito dell'Alternative Rock Anni Novanta.


In questi giorni ci stiamo scambiando la playlist ideale del "nostro" periodo.

Cliccando qui si può accedere alla mia.
Chi vuole esplorare quella seconda vita del rock che fu il periodo dal 1976 al 1982, non ha che da scegliere (in neretto i titoli per me sentimentalmente capitali).

13 giugno 2010

Dica 33

Questa è una delle ultime foto del 33, tratta Centrale - Porpora - Lambrate.
Oggi è domenica e sono uscito apposta per salirvi un'ultima volta. Da domani verrà sostituito da un normale bus.
In questi ultimi anni ho apprezzato molto andare la lavoro con questa carrozza sferragliante, dai sedili di legno scomodi ma dalla forma tondeggiante e dal color legno bruno. Una delle piccole azioni quotidiane che lentamente mi hanno conciliato con Milano.
Mi piacciono le sue lampade di vetro Liberty, i sostegni di metallo dal disegno armonioso.
Ma come racconto nelle poesiole mattutine, era diventato troppo pericoloso. Si rischiava ogni giorno di venire arrotati alla fermata, dato che il tram si fermava vicino alla linea di mezzeria di Via Porpora, costringendo il passeggero ad attraversare la strada e affrontare pirati della strada di ogni risma lanciati a ottanta all'ora.
Invece di cercar di far rispettare il codice della strada - che impone di non sorpassare il tram da destra quando è fermo - il Comune ha approfittato della mancanza di educazione per eliminare il mezzo stesso con un più economico (?) bus.
Un po' come se di fronte al furto di un bell'oggetto, invece di perseguire il ladro, si decidesse di togliere dal mercato la merce per sostituirla con qualcosa di più moderno.
Il 33 comunque rimane. Per ora continuerà a fare un'altra tratta del suo percorso.
Ma non sarà più quella linea un po' misteriosa che sembra andare in direzioni opposte per poi finire sempre dalle parti di Lambrate.
Soprattutto io non potrò più prenderlo e mi mancherà un po'.

19 aprile 2010

Design fiammingo a Lambrate

Il FuoriSalone consiste in una serie di eventi, mostre, manifestazioni e spettacoli che vengono organizzati a Milano a latere del più ufficiale e paludato Salone del Mobile.

Non sono stato in centro - il cosiddetto Brera Design District (oh yeah!), dove storicamente hanno luogo gli eventi più ricercati dal popolo trendy e gli happening a maggior tasso alcolico da cocktail - ma nel più periferico quartiere di Lambrate, dove una incrocio di poche vie composte in gran parte da ex-capannoni industriali riconvertiti in loft e spazi espositivi è diventato il centro di raccolta delle esposizioni dei designer olandesi.


Ecco come mi piacerebbe vedere Milano più spesso. Una città alla pari delle grandi città europee, dove le idee richiamano le persone curiose e dove ci si può riconoscere nel tentativo di conciliare modernità, creatività a vivibilità.

Questa mattina il sole primaverile rendeva meno malinconica l'idea che oggi, lunedì, Milano torna ad essere grigia, sgarbata e un po' spenta come sempre.

06 aprile 2010

Speakers' Corner

A Londra, sono andato a curiosare allo Speakers' Corner.

Per chi non lo sapesse è quell'angolo di Hyde Park dove la domenica mattina chiunque può salire su un panchetto e arringare la folla, libero di dire quello che vuole fino a quando qualcuno lo sta ad ascoltare (e fino a quando la polizia considera quanto viene detto rispettoso della legge).

C'ero stato circa trent'anni fa ed ero convinto che oggi, negli anni dei media invasivi e della rete, fosse ormai un luogo caduto in disuso, obsoleto sito di comunicazione verbale verso pochi, laddove se oggi non proclami in sei righe qualcosa ai tuoi 400 amici di Facebook sei meno di uno zero.

Viceversa l'angolo era vivo e affollato più che mai, nonostante il freddo pungente.

Per lo più santoni, fanatici religiosi, imbonitori, visionari un po' fuori di testa, nazionalisti che al confronto il leghista Castelli è un pericoloso comunista, sicuramente anche abitudinari nella loro smania di convertire.

Tuttavia, ai miei figli (che si sono divertiti come pazzi) ho spiegato che quella dello Speakers' Corner è un po' la metafora della Gran Bretagna, del suo spirito dialettico e tollerante al tempo stesso, dove chi argomenta deve farlo in maniera convincente e deve saper mantenere il punto anche di fronte ad una platea scettica e difficile, pronta a porre obiezioni anche dure e imbarazzanti, e dove chi ascolta deve argomentare a sua volta in maniera civile, senza mai deviare nel linguaggio violento, né (inconcepibile) nel manesco.

Come dice la voce di Wikipedia citando un uomo politico inglese, un luogo dove "la libertà di parola viene estesa anche a ciò che è irritante, causa di contenzioso, eccentrico, eretico, scomodo e provocatorio almeno fino a quando non degenera nella violenza".

Anche abbastanza impressionante è stato vedere un gruppo di musulmani che attaccava verbalmente in maniera molto caustica (e con odio palpabile), l'invasato predicatore ebraico qui sotto.

Alla fine si è avvicinato un uomino alto un metro e sessanta con naso da clown e parrucca giallo canarino che ha cominciato ad arringare la folla usando una mimica straordinaria e un linguaggio verbale totalmente inventato, scimmiottando l'inutilità del cicaleccio dei politici di oggi (a metà strada tra un Berlusconi afasico e uno Scarpantibus di Giorgio Bracardi).
La folla si è sbellicata.

Quando è sceso dallo sgabellino ha cominciato a parlare con il suo compare accompagnatore, sfoderando - tra un "porco qui" e un "porco là" - un inconfondible accento ciociaro.
Di colpo mi sono ritrovato catapultato nel più paradossale luogo comune di un Totò e Peppino all'estero che conquistano il popolo inglese... e il bello e il brutto è che era tutto vero.

Tutte le foto © Arimondi

27 febbraio 2010

Blanco y negro a Madrid

La crisi economica che colpisce la Spagna in questi mesi è palpabile, ma non sembra scalfire il desiderio dei madrileni di socializzare fuori di casa e di scambiare parole e idee.
Quattro giorni a Madrid bastano per immaginare un possibile diverso modo di vivere, dove la voglia di comunicare e dialogare sembrano più diffuse di quanto avvenga da noi.

Illusione di chi annusa un frammento di vita urbana filtrato dalle guide turistiche?
Può darsi.
Facile passare per superficiali avendo poco tempo a disposizione (ma che c'è di male nell'approfitare della superficialità offerta oggi dai voli low cost, che mi permettono di visitare una capitale europea con pochi euro?).
Sta poi al singolo viaggiatore relativizzare, ricordando che una cosa è la routine quotidiana del proprio paese, capace spesso di tramortire l'entusiasmo e la poesia del vivere, altra cosa è gustare l'istantanea di una capitale pulsante di vita e di luoghi, dove le persone amano radunarsi per parlar fino a tarda notte.
Di certo Madrid è una città che si anima anche dopo le sette di sera e non si assopisce e rinchiude in se stessa come sembra invece voler fare la Milano di oggi.

A Madrid - a parte una serie di luoghi da vedere che non ho resistito ad elencare alla fine di questo post - ho scoperto due highlights che non conoscevo e che da soli valgono, secondo me, il viaggio.
Sono opere di artisti, guarda caso, opposti tra loro.
Luce e tenebra, vita e morte, successo sociale e solitudine profonda.
Joaquin Sorolla e Francisco de Goya.

Joaquin Sorolla o della luce.

Pittore molto celebre in Spagna, da noi non molto conosciuto, rappresenta a pieno titolo un'arte figurativa espressa ai massimi livelli. Vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento potrebbe facilmente essere considerato un pittore conservatore, soprattuto se si pensa a cosa accadeva nella arti figurative in quegli anni in cui nuovi movimenti culturali e -ismi di ogni tipo stavano per rivoluzionare la sensibilità artistica contemporanea.
Eppure Sorolla, pur viaggiando spesso in città europee ed entrando in contatto con artisti delle avanguardie di quegli anni, continuò sempre a dipingere le sue spiagge, i figli, la moglie dall'aria dolce e rassicurante. Pur non mancando a tratti di cogliere aspetti sociali (i lavoratori delle campagne e dei villaggi spagnoli, gli orfani delle colonie al mare), complice il consenso della borghesia spagnola, Sorolla raggiunge la fama in Spagna unendo una talento e una tecnica pittorica eccezionale ad una volontà molto semplice: quella di rappresentare la bellezza intorno a sé.
C'è qualche cosa di incredibilmente alto nella sua capacità di cogliere la luce accecante del mare spagnolo, le ombre nette del mezzogiorno, le pieghe dei vestiti luminosi di donne di inizio secolo. La stessa luce che si coglie nel gardino che ospita il museo a lui dedicato e che fu la sua abitazione. Un giardino fatato, tra statue, zampilli di fontane, siepi di bosso e fiori, che, seppur oggi soffocato tra alcuni palazzi di un quartiere di Madrid, rimane un piccolo luogo miracoloso.


Francisco de Goya o dell'abisso.

Avete in mente i video di Chris Cunningham con la musica di Aphex Twin?

Per me rappresentano le paure e i terrori più ancestrali. Nulla di troppo volento, ma un po' come immergere un mestolo dentro al torbido dei nostri incubi e tirarne fuori il peggio: esseri deformi, giovani ghignanti, paesaggi post-atomici, angeliche figure femminili generate da una costola del "diavolo" in persona.



C'entra questo con Madrid?
Certo non mi aspettavo quello che ho visto nella sala più a Sud del Museo del Prado.

In questa sala si trovano i dipinti della cosidetta pinturas negras di Francisco de Goya.

L'uomo che aveva dipinto l'ammiccante Maja Desnuda o che aveva denunciato con il coraggio e l'efficacia della sua pittura la violenza dello stato totalitario che pure serviva, dipinse questi quadri alla fine della sua vita presso la casa denominata la Quinta del Sordo, quando, lui stesso sordo, solo e abbandonato da tutti, pensò che lì avrebbe vissuto i suoi ultimi giorni.

Sono dipinti che rappresentano il terrore per la vicinanza della pazzia e della morte, uniti però anche alla pietà verso la condizione di esseri viventi di cui si cerca di descrivere il destino apparentemente insensato.


Solo Francis Bacon e gli Espressionisti si avvicinano a tanto nel Ventesimo Secolo figurativo.
Non c'è molto da dire su questi dipinti.
Guardandole prende un senso di vertigine, disagio, sgomento: uomini dal viso distorto da un ghigno simili a visioni post-acido (proprio come nei video di Cunningham/Aphex Twin), divinità nefaste che sbanano i loro figli, uomini che lotteranno tra loro fino alla morte e senza apparente motivo, cani che affogano nel fango sperduti come un puntino su una tela, capre diaboliche che siedono a convitto tra esseri tremanti.
Un compendio dei terrori dell'uomo, che così spesso verranno utilizzate da altri nel corso di tutto il Novecento, fino ad oggi, "secolarizzati" nelle forme espressive del cinema, della letteratura, del videogioco.

Per quanto mi riguarda, ho avuto bisogno della luce di Sorolla per risollevarmi dall'emozione degli abissi di Goya.

Ma cos'altro c'è da non perdere a Madrid?

- Passeggiare per il centro a naso all'aria e con la mappa scoprendo i vari Barrios (a qualsiasi ora del giorno e della notte).
- Andar per tapas (ogni giorno tra le le 19 e le 22, ma anche prima. C'è sempre un valido momento per mangiare a Madrid).
- Il Museo del Prado (una giornata intera, se basta). Immensa la pittura nera di Goya e l'arte sacra di José de Ribera.
- Il Museo di arte contemporanea Reina Sofia (una giornata), passando dal centro culturale CaixaForum (un piccolo Beaubourg) e della stazione ferroviaria di Atocha (un giardino botanico circondato da passeggeri in transito).
- Il nuovo modenissimo quartiere a nord di Madrid (2 ore, da raggiungere in metro, la mia foto ad inizio post) con i suoi grattacieli mozzafiato
- Il mercato di San Miguel, mercato coperto dove non si vende ma si degusta qualsiasi tipo di delizia, dallo stocafisso alla trippa, dal churros al miglior vino di Spagna. Il tutto in piedi, tra gli amici.

09 febbraio 2010

Realcore a Roma, 19-20 Febbraio

Per chi è a Roma, un rara occasione per andare a vedere Realcore, lo spettacolo sulla rivoluzione del porno digitale ideato dalla mente lucida e indipendente di Sergio Messina, also known as Radio Gladio.
Alla Sala Pintor, ore 21.

03 febbraio 2010

Rai nascosta







Rai Storia.
Canale televisivo visibile sia sul satellite (canale 805) che in digitale terrestre, che è un piacere guardare.

Una Discovery Channel nostrana e un po' ruspante, piena di documentari d'epoca in bianco e nero e inchieste d'epoca di eccezione e che mostra - a volte anche inconsapevolmente - il meglio di quello che era il nostro paese (di cui c'è certamente traccia da qualche parte ancora oggi).

Tra tutti mi viene da citare l'incredibile documentario di Milena Gabanelli a Ettore Mo del 1995 per Mixer, Speciale Cecenia, sui primi mesi della guerra in Cecenia, girato dalla Gabanelli tutto in soggettiva con un coraggio da leonesse, schivando i proiettili dei cecchini.
Speriamo che ne diano la replica.

Nulla a che vedere con l'orrore mutandescente della Rai generalista che conosciamo e che da tempo mi ha nauseato fino a non poterla neppure sfiorare durante lo zapping (a parte le dovute eccezioni da riserva indiana).
Guarda caso, ciò che Rai Storia propone è un insieme di programmi dove chi parlava sembrava avere qualcosa di sensato da dire. Non come gli idioti mentecatti che dilagano in quasi tutti gli spazi Rai e Mediaset di oggi.

Volendo, Rai Storia si vede anche in diretta sul Web qui.

Uno dei motivi per cui pagherò ancora una volta il canone.

28 gennaio 2010

Tagli che separano

Il mio amico M. ha avuto un figlio. La cosa mi rende naturalmente felice perché gli voglio bene.
Mi ha raccontato che, oltre che assistere al parto di sua moglie in acqua, gli hanno dato il compito di tagliare il cordone ombelicale.

Non mi ero mai fermato molto a riflettere su questo atto, in genere affidato a medici o levatrici, né sapevo che fosse permesso ai padri farlo.
Mi sembra un gesto dal grande valore simbolico, per il nuovo nato e per sé. Il padre rende cosciente se stesso e inconsciamente il bambino che suo compito sarà anche accompagnarlo verso l'indipendenza e l'affrancamento, tagliando fin dall'inizio il legame profondo - in questo caso, fisico - che il piccolo ha con i genitori.
Quasi una iniezione di realismo.

Un giorno mio padre mi disse chiaramente che non intedeva più contribuire al mio mantenimento. Ero un ragazzo adulto, avevo finito l'università. Era ovviamente giusto così.
Ho scoperto dopo un po' di tempo quanto fu utile la sua decisione per la mia crescita personale. Ma io ci rimasi comunque male.

Forse, mi chiedo ora sorridendo, mi avrebbe ferito di meno se il mio cordone ombelicale fosse stato tagliato tanti anni prima non da uno sconosciuto in camice bianco ma da lui stesso? E' un dubbio che mi sfiora lieve in questi giorni.

27 gennaio 2010

Il Giorno della Memoria e i giorni di G.

Non amo molto le commemorazioni e gli anniversari imposti. Ne riconosco razionalmente il valore simbolico (solo nel caso in cui abbiano per me qualche valore), mi distolgono per un attimo dai pensieri quotidiani e mi rendono più che altro contento se mi procurano un giorno di ferie in piu...

Però quest'anno sento di dover scrivere qualcosa in merito a questo Giorno della Memoria.

Il mio pensiero va a quelle persone che si prendono sulle spalle il carico faticoso della Memoria. Sono le persone che hanno vissuto i campi di sterminio, con perdite personali indicibili e che oggi si rendono testimoni in prima linea di ciò che è stato commesso da un parte dell'Europa civilizzata ai danni di loro consimili durante gli anni della prima metà del Novecento.
Credo di poterne scrivere brevemente, perché conosco una di queste persone.

G., uscito da quell'Inferno, ha continuato a vivere, si è costruito coraggiosamente una famiglia con dei figli, ha vissuto una propria vita perfettamente inserito nel tessuto della società, cercando di essere il più normale possibile e di vivere normalmente, nonostante l'accaduto.
Come molti altri ha vissuto per anni portando dentro di sé il ricordo, cercando tuttavia di far in modo che questo ricordo non condizionasse troppo la vita propria e dei suoi cari. Per anni - da ciò che mi ha raccontato - non ha fatto granché per parlarne pubblicamente, un po' per auto-protezione, un po' perché c'erano altri testimoni a ricordare.

Oggi però le persone che sono in grado di testimoniare sono per motivi anagrafici sempre meno. E lui ha cominciato a sentire il bisogno di raccontare.
Quasi un imperativo interiore del tipo "se non c'è nessuno che può farlo, credo di doverlo fare io".

In questi giorni era quasi in "tourneé". E' stato chiamato da tutte le parti d'Italia per ricordare, per raccontare. Associazioni, Scuole, Centi Culturali, Comuni, tutti ad invitarlo per ascoltare, per intervistare, per filmare.
Credo che nessun possa immaginare quanto deve essere difficile ricordare quanto è accaduto e doverlo ogni volta verbalizzare davanti ad estranei. Dover sacrificare la propria intimità in nome di una "missione".

Per questo dedico questo povero e stringato pensiero del Giorno della Memoria a G., immaginando quanto deve essere stanco oggi e augurandomi si possa riposare di un meritato riposo accanto alle persone cui vuole bene (sempre che lui, uomo dall'energia invidiabile, sia capace di fermarsi a riposare).

Al contempo spero si senta molto fiero di sé.
Io, per quanto può contare, sono fiero di lui e sono certo che siamo in molti ad essere fieri e grati a testimoni della Memoria come lui.
Per quanto può servire, è giusto che G. se lo senta dire. Sperando non sia turbato da questa ulteriore intrusione nella sua sensibilità.

Proprio in questi anni, in cui mi rendo conto di quanto la memoria da tramandare sia importante per i nostri figli, per evitare o cercare di evitare gli orrori provati dall'ignoranza e dall'odio che l'uomo sa commettere.

10 gennaio 2010

La (mia) musica del 2009 (II)


Comincerei con dodici canzoni, tutte uscite più o meno quest'anno...

Yeah Yeah Yeahs
Hysteric - da It’s Blitz! (2009)
Sì, sono un fan di Karen O (vedi foto sopra), smodata cantante degli Yeah Yeah Yeahs.
Anche quando fa la musica di una marca di scarpe.
It's Blitz! è pe me il miglior album del 2009. Prodotto da Nick Launay (Public Image Ltd, Gang of Four, Jam) e David Andrew Sitek (TV on the Radio) ripercorre strutture strumentali che sono state una costante di quest’anno: grande utilizzo di sintetizzatori in stile Anni Ottanta declinati all’ennesima potenza e utilizzati in massiccia sovrapposizione.
Probabilmente il chitarrista Nick Zinner avrà anche fatto qualche sacrificio a rinunciare ai suoi soliti riff taglienti, che qui sono spesso filtrati da suoni ultra-sintetici, ma secondo me ne è valsa la pena.
Non rinunciano a inserire ballate come Hysteric in cui Karen O resce ad esprimere il meglio della sua voce anche più dolce del previsto (procuratevi la versione dell'album con le quattro versioni acustiche). E' il brano che preferisco. Ma anche il primo singolo Zero e l'ipnotica Shame and Fortune non sono da meno.

EditorsPapillon - da In This Light and On This Evening (2009)
Similmente agli Yeah Yeah Yeahs, anche se su un terreno di minore tensione, tra i gruppi alternative di questi anni gli Editors sono tra i pochi che hanno avuto il coraggio di dare una svolta stilistica significativa ai loro suoni, invadendo il loro rock “wave” di ingombranti ma potenti bordate di sintetizzatori e lasciando un po’ in disparte per una volte le chitarre (che a me erano sembrate un po’ invadenti nel loro fortunato album precedente). Tutto ciò fa scordare la forse eccessiva enfasi vocale, che pure è una delle loro cifre espressive.
Visti dal vivo con i miei figli un mese fa. Al concerto con loro, una delle cose più belle del 2009.

Florence + the MachineGirl with On Eye - da Lungs (2009)
Un rock blues con la bella e potente voce di Florence Welch e i suoi Machine. Ne sentirermo parlare, dato che sta virando dall'alternative al pop più raffinato.

Pearl JamJust Breath – da Backspacer (2009)
Backspacer è un disco che si fa apprezzare dopo ripetuti ascolti. In particolare mi piacciono i brani di metà album. Just Breath è la ballata che ascolti alla mattina per cominciare bene la giornata.
I don’t want to hurt. There’s so much in this world that makes me bleed (…) Just Breath" Semplicemente respira. Qui anche dal vivo.

U2
Breathe - da No Line On the Horizon (2009
Ho visto gli U2 dal vivo a San Siro. Mi sono divertito ma nulla di più (era di gran lunga più importante essere lì con mio figlio). Lo spettacolo di gigantismo aracnideo non mi ha del tutto convinto. In compenso ho imparato ad apprezzare l’album prodotto da Eno e Lanois dopo ogni ascolto. Sono le trame e gli strati sonori che avvolgono la maggior parte dei brani a fare la differenza. Non a caso Eno per la prima volta firma tutte le composizioni, dimostrando una determinante partecipazione creativa.
Breathe è il mio brano dell’album. Nascosto laggiù al penultimo posto del CD, tra le due ballate, ha una urgenza esplosiva e molte aperture melodiche, proprio come piace a me. Qui anche in versione smagliante al David Letterman Show dove Bono dimostra che la voce ce l'ha ancora, eccome.
E anche qui: “Respira”...

Il Teatro degli OrroriPadre nostro - da A sangue freddo (2009)
Non molti suonano così in Italia. La vocalità molto particolare di Pierpaolo Capovilla (unico paragone, con i dovuti distinguo, Carmelo Bene), il sound è un wall of sound spigoloso e senza compromessi. I testi, diretti e disurbanti. Sono il Teatro degli Orrori.
Padre nostro è il mio brano preferito (ha molto di De André sottopelle), ma la canzone che resta forse più impressa, grazie anche alla coproduzione con i Bloody Beetroots che rende il suono molto elettronico, è Direzioni diverse. Ma non ascoltatela se siete in crisi con la vostra bella: "Sarebbe stato bello invecchiare insieme. La vita ci spinge verso direzioni diverse (...) Quanto ti manca l’amore…”.

Fabri FibraSpeack English! Da Chi vuol essere Fabri Fibra…. (2009)
Fabri Fibra è un interprete controverso, capace di provocare ammirazione incondizionata o repulsione. Difficile trovare un over-30 che ne parli bene, tanto meno se è genitore (una volta la madre di una compagna di mio figlio mi ha detto: fammi incontrare Fabri Fibra che gliene dico io quattro). Proprio per questa sua capacità di spiazzare, di fare critica sociale ma anche di accettare il meccanismo del marketing in barba a certi pregiudizi pseudo progressisti, la capacità di sdoganare con "stile" l’”ignoranza” e il sessimo che ci pervade, per la capacità di sostenere a testa alta la propria spocchia (molto hip hop in questo), ma soprattutto per la sua creatività e maturità nel costruire i testi e abbinarli a basi musicali molto efficaci, trovo che Speack English! sia pezzo che oltre ad aver accompagnato la mia estate, sia brano degno di nota.

Kid Kudi – Make Her Say - da Man on the Moon… (2009) (nessun video decente disponibile in rete...)
Una specie di rivelazione questo album hip pop di Kid Kudi. Abbandonato (finalmente) il gangsta rap ecco questo giovane intellettuale afroamericano che - pur è inserito in pieno nel movimento hip hop (è un protetto di Kanye West) - recupera suoni molto più europei e propone un disco vario e piacevole, pieno di influenze variegate, con arrangiamenti minimali ma anche con ampio uso di archi ed elettronica e ritornelli melodici. E’ dal tempo dei De la Soul che non mi divertivo così con un disco soul. Il brano in questione è divertente nell’uso della voce campionata niente meno che quella burlona di... Lady Gaga ed è strano che non abbia avuto più fortuna commerciale.

Wolfmother 10.000 Feet - da Cosmic Egg (2009)
Pochi come i Wolfmother riescono a sintetizzare in modo così iperbolico la storia del rock'n'roll. Led Zeppelin, Iron Maden, Deep Purple, la velocità del punk, ma anche Queens of the Stone Age (si ascolti Phoenix). La differenza è che oggi se un ottimo produttore come Alan Moulder (Nine Inch Nails, Placebo, Smashing Pumpkins e così via) mescola la distorsione chitarristica con qualche campione elettronico, l'effetto stacca da terra la seggiola su cui sei seduto.
Sound più che brillante, chitarre roventi, produzione perfetta. Non per palati fini, ma da ascoltare a volume massimo in cuffia con staffilate di chitarre da sordità permanente.

Oasis Falling Down - da Dig Out Your Soul (2008)
Inizia come una ballata alla Oasis con stacchi melodici e ritmici degni del meglio dei due Gallagher, poi sfiora la distorsione. Eppure è una perfetta canzone pop. Ma ciò che preferisco è il video, magistrale nella sua decadenza e visione sprezzante del mondo dell'aristocrazia reale britannica (con un cameo chissà come autorizzato di Prince Charles...) e con l'occhio cinico dei due fratelli, che neppure si degnano di salutare la Principessa Triste.
Musicalmente ciò che colpisce di più è la qualità di amalgama dei suoni, gli strati di sonorità che sovrappongono.

La RouxIn for the Kill - da Laroux (2009).
Pop puro e semplice, stupidino e spocchiosetto. I Laroux sono un duo femminile con una frontman che sembra un maschiaccio frangettone bimbominchia faccia da schiaffi. Un tuffo negli Anni ’80 del techno pop (Soft Cell, primi Depeche Mode) con ganci melodici irresistibili e synth "zanzaroni" a go-go. I video sono un misto kitsch di colori sgargianti, vestiti improbabili, ambienti Blade Runner e architetture sghembe.
Niente male anche l’altro singolo Bulletproof, con un video mezzo dadaista e mezzo Tron.

Kerli Walking on air - da Love is Dead (2008).
Sempre nel filone pop da classifica, la canzone di Kerli contiene un simpatico germe di inquietudine sonora electro pop.
Anche lei un bel po' Mary Poppins bimbaminchia da sculacciare, ma i sintetizzatori e il ritornello mi piacciono un sacco.

Continua...


09 gennaio 2010

La (mie) canzoni del 2009 (I)

Le liste sono importanti, ci insegna Umberto Eco nel suo ultimo libro (Vertigine della lista, Bompiani, 2009).
Le playlist di musica anche di più, vi suggerisce Arimondi...

Nel 2009 ho ascoltato tanta musica quanta mai mi era capitato negli ultimi anni. Una felice contingenza lavorativa fa sì che sia agevole procurarmi musica, sia del presente, sia del passato. Da parte mia, ci metto impegno e piacere nell’ascoltarne il più possibile, di tutti i generi, armato di ipod e di voto/playlist da 1 a 5… Ogni tratto di metropolitana va bene...

La chiusura del primo decennio del secolo si avvicina e con essa la tentazione di trarre qualche conclusione su questi primi anni dieci. Con un po’ di sgomento viene da dire che non mi pare di cogliere pietre miliari. Poi mi convinco ad aspettare ancora un anno a trarre conclusioni radicali.
Tuttavia, pur astendenomi da fare nomi e cognomi, è indubbio che la lista dei capolavori non appare lunga, per ora.

Questo può voler dire semplicemente che sono vecchio, ormai poco aggiornato o incapace di adattarmi ad altri generi magari più creativi (hip-hop, world music?) o che le mie orecchie sono stanche di feedback. Ma potrebbe voler dire anche che il macro-genere “rock” mostra un po’ la corda in quanto ad inventiva, come si è anche a volte paventato con coloro di cui ho la fortuna di parlare di queste cose, in rete e fuori.

D’altra parte è indubbio che il rock è da tempo diventato un linguaggio mainstream capace di catalizzare enormi consensi.

L’urlo Long live rock degli Who si è fatto realtà e il “rock” (il virgolettato non è casuale) si è ormai assicurato un florido futuro commerciale, potendo contare sul cuore e sulle finanze di migliaia di signore e signori di mezza età che adorano andare allo stadio con gli accendini accesi per ricordare i bei tempi che furono e farsi magari qualche canna di nascosto dai figli.
Vasco Rossi, Bob Dylan, Springsteen, U2, REM, Radiohead. Tutto va bene, per celebrare il rito delle ribellione che fu. Presto i Muse o qualcun’altro, per generazioni più giovani di cinque, dieci anni.
Siamo in una fase della storia del rock che potremmo definire “classicista”.
Il panorama alternative, con il suo pubblico affezionato, più attento ed esigente di quello mainstream, produce ottime cose, ma comunque spesso rivolte a forme e sonorità del passato.

Quello che posso dire è che il suono è sempre più smagliante. La qualità della “produzione” è cresciuta più della qualità creativa. Album come i nuovi Oasis, U2, Wolfmother, Muse permettono di vivere esperienze fisiche, non solo sonore ed emotive. Come se in una fase in cui in linguaggio musicale è stanco, stia ai produttori il compito di inventare - grazie alla tecnologia - soluzioni capaci di supplire alla carenza creativa.

Detto questo, l'elenco dei brani per me più importanti e piacevoli del 2009 è composta anche da molte canzoni che ho scoperto o riscoperto dal passato. Come sempre, la scelta non è solo qualitativa ma anche legata ai momenti della vita, per fortuna. Per questo, quest’anno la scelta è sostanziosa.

A domani, dunque, per la lista.

Aural Pollution

Spesso si parla di inquinamento acustico non solo per indicare l'eccesso di rumore urbano che ci circonda nelle grandi città o in vicinanza di centri industriali, ma anche per l'eccesso di musica imposta che ci circonda in molto luoghi della nostra vita quotidiana (supermercati, librerie, locali pubblici) e interferisce sul nostro paesaggio sonoro. Si tratta della cosiddetta Muzak, o Piped Music.

Un sito che in Inghilterra raccoglie segnalazioni, fornisce suggerimenti e informazioni contro l'Aural Pollution provocato dalla muzak è No Muzak.

Emmaus

Riesco sempre a rimanere rapito dalla capacità di Alessandro Baricco di colpire le ombre oscure del sentimento con la sua scrittura al contempo sintetica e profonda. Così ho letto il suo ultimo romanzo breve Emmaus (Feltrinelli, 2009) tutto d'un fiato.

Devo però dire che, dopo Oceano mare e Senza sangue, il meccanismo dello spiazzamento ottenuto attraverso scarti nell’abisso del dolore risulta un po' logoro.

Anche nella nuova opera Baricco sembra mirare a far sanguinare il suo lettore in modo spettacolare, usando gli stessi strumenti con cui sventra i suoi personaggi, colpiti dal destino o dall’influenza di altri uomini egualmente feriti e imperfetti.

C’è altro nel libro: la crisi delle certezze di un gruppo di cattolici integralisti, qui smascherati senza pudore nelle loro contraddizioni al limite del fanatismo, c’è il senso di vuoto delle nuove generazioni (Galimberti?), c’è il tema del della ipocrisia borghese nei confronti della prostituzione, del travestitismo (chissà se pre o post Marrazzo) e della diversità, e c’è il tema del senso di colpa dei figli nei confronti dei genitori e delle loro aspettative:

Ci disarma infatti l’inclinazione a pensare che la nostra vita sia, innanzitutto, un frammento conclusivo della vita dei nostri genitori, solo affidato alla nostra cura. Come se ci avessero incaricato in un momento di stanchezza di tenere un attimo quell’epilogo per loro prezioso – ci si aspettava da noi che lo restituissimo, prima o poi, intatto. L’avrebbero poi ricollocato a posto, formando la rotondità di una vita compiuta, la loro. Ma ai nostri padri stanchi, che si erano fidati di noi, noi restituiamo il taglio di cocci affilati, oggetti scappati di mano. Nel sordo strisciare di un simile fallimento, non troviamo il tempo di riflettere, né la luce di una ribellione. Solo l’immobilità sorda della colpa. Così tornerà nostra, la vita, quando sarà ormai troppo tardi.” (pag. 100).