10 dicembre 2011

Resistenza

...dal letame nascono i fior (De André)

Foto scattata in Via Prè, Genova, Novembre 2011

12 novembre 2011

05 novembre 2011

Forzati dell'advertising



In tema di sovraccarico da informazione, da qualche tempo sui voli Alitalia Milano-Roma ogni passeggero trova di fronte a sé un monitor incassato nel sedile posto di fronte.
Non di quelli pensili, distribuiti ogni tre quattro file, ma un monitor singolo dedicato per ogni passeggero.

Il monitor è acceso per tutto il volo e propone pubblicità quasi a ritmo continuo.

Durante il mio volo più recente solo dopo un po' di ricerche sono riuscito a spegnerlo; non esiste infatti, mi è parso, un pulsante di accensione, ma è necessario agire sul pulsante brightness che si trova tra i comandi posti sul bracciolo destro, portando il controllo a zero.

La totalità dei passeggeri che mi circondavano, apparentemente non infastiditi, hanno lasciato sfarfalleggiare lo schermo per tutto il volo.

Per quanto mi riguarda mi aspetterei da Alitalia quanto meno uno sconto per dovermi ingozzare di pubblicità forzata anche a diecimila metri di altitudine a causa di un monitor posto a venti centimetri dalla faccia.

Unica nota positiva, per questa volta mi sono state risparmiate le candid camera un po' dementi che di solito infarciscono le programmazioni ad alta quota.

23 ottobre 2011

Maturitudine

Un collega dice che "invecchiare è una scelta".
Ho immediatamente sposato questa tesi ottimista e lieve.
Ma ha appena compiuto quaranta anni e percepisco una leggerezza nelle sue parole che tradisce una certa ingenuità.

E' da tempo che tra i miei tag figura la parola adolescenza, visto che l'osservazione dell'età dei miei figli stimola molte riflessioni soprattutto se messa in confronto con ciò che fu quell'età per me.
Ma non a caso ne è appena apparsa un'altra: maturità.

Il post precedente è solo un esempio di come questo passaggio segni un momento importante. 
Spesso è argomento di cui non si ama parlare. Lo faccio forse per contrastare con l'esorcismo della parola l'idea che questa compagna debba per forza essere molesta.

Evidentemente non a caso, qualche giorno fa, durante l'ascolto del Cavaliere della Rosa di Richard Strauss, sono rimasto colpito  dall'aria Da Geht Er Hin (conosciuta anche come il Monologo della Marescialla):




E posso rammentare una fanciulla, dal convento appena uscita, cui fu imposta la santa condizione delle nozze.
(prende lo specchio)
E dov’è ora?
(sospirando)
Sì, cerca la neve dell’anno passato.
(tranquilla)

Parlo così:
ma come può essere vero
che io stia stata la piccola Resi
e che poi sarò un giorno una signora vecchia...
Una signora vecchia, la vecchia Marescialla!
“Guarda là, passa, la vecchia Principessa!”
Ma questo come accade?
Come il buon Dio può farlo?
Io resto sempre uguale.
E se anche deve fare così,
perché egli vuole inoltre che io assista a tutto,
con mente così chiara?
Perché non me lo cela?
(sempre più piano)
Tutto è un mistero, un grande mistero, ed esistiamo per questo
(sospirando)
per sopportarlo.
E nel “come”
(con molta calma)
sta la vera differenza.

(...,)

Oggi mi sembra che io debba provare la debolezza di ogni cosa effimera,
giù in fondo fino all’anima,
che nulla si può stringere,
nulla si può serrare.
Che tutto si disperde tra le dita,
che scompare tutto ciò che afferriamo,
tutto si disfa come nebbia o sogno.

(...)

E’ il tempo, Quinquin, è il tempo,
che pure nulla muta nei fatti.
Il tempo, cosa strana,
Passiamo così i giorni della vita, e un nulla è il tempo.
Ma poi ad un tratto,
ecco, altro non  non sentiamo che lui.
E’ intorno a noi, è anche dentro noi.
Sui volti cola, cola nello specchio,
e scorre nelle mie tempie.
Ed è tra te e me, e scorre ancora,.
Silènte come una clessidra
(con calore)
Oh, Quinquin!
Talvolta io l’odo che scorre senza sosta.
(piano)
talvolta mi alzo nel mezzo della notte
e arresto tutti gli orologi, tutti.

22 ottobre 2011

A volte ritornano


A volte ritornano.
Li si rivede in città. Nella vita sociale. Un po’ timidi e inquieti. Il tempo ha loro segnato un po’ il viso.
Non che sia qualcosa di evidente o eclatante. Solo chi non li ha incontrati da tanto tempo lo noterà. Forse lo sguardo meno vivace di un tempo; certamente qualche capello in meno, le rughe più accentuate, una taglia in più.

Più dignitose le donne. Si curano con un’attenzione che tradisce la coscienza di un orgoglioso declino. Decise per forza genetica a non cedere alle lusinghe della plastica chirurgica che tanto devasta i labbroni delle loro coetanee inquiete.

Vestono vestiti più grigi i loro compagni uomini. Soprattutto se per pudore (o timore) non hanno mai vestito i panni casual del ggiovane.
Da un po’ hanno smesso lo spolvero e non si guardano con grande gioia nello specchio.
Le giovani donne per strada non li notano con la stessa curiosità di pochi anni prima e qualche volta si alzano per lasciar loro il posto in metropolitana, dando rigorosamente del lei.

Sono i genitori dei figli della tarda adolescenza.
Si potrebbe dire i genitori dei figli finalmente adolescenti. O dei figli purtroppo adolescenti.
Il genitore stesso non sa bene, non sa se rallegrarsene o se preoccuparsi.

Da una parte la prospettiva vertiginosa del tempo libero. Le mille nuove opportunità che ti offre la grande città in cui il destino lo ha condotto a vivere, i mille interessi che sa bene essersi solo sopiti e addormentati in questi anni, e che basterà poco a risvegliare.

Dall’altra un baratro di vertigine. Il figlio giovane che dava un’illusione di eterna giovinezza. Sarà tempo libero o tempo vuoto? Fare i conti con se stessi e con la sfida di un nuovo mondo che ti vede riapparire, dopo quasi vent’anni di pausa, come un Robinson Crusoe tornato alla vita “civile”.
Sarò capace?

Leggi nei loro occhi un’incertezza che non avresti notato solo qualche anno fa.
E non è solo l’avvilente situazione sociale di questi anni, il lentissimo ed esaperante declino del ributtante berlusconismo andato di pari passo con il declino intellettuale di parte del paese e con il declino economico della borghesia.
Non è neppure la certezza che il consumismo - cui pure ha contribuito con i suoi soldi - ha appannato il suo spirito critico e che qualcosa di profondo sia stato barattato tanto tempo fa con l’abbonamento Sky, la banda larga e l’auto aziendale.

E’ piuttosto la sensazione inquieta che si stia aprendo una nuova fase della vita.

Ma si badi che non è un UFO il nostro genitore di figlio adolescente.
Frequenta i suoi simili e parla spesso dei figli con i genitori degli altri figli. Con loro scambia occhiate trasversali, convinto che il vicino stia invecchiando peggio di quanto invecchi lui. Anche se alle riunioni di classe si guarda intorno sospettando a ragione che i molti decrepiti stanchi presenti siano molto simili a lui.

Non sa in verità quanto il figlio gli racconti di sé. Narra la cronaca che anche quelli che dicono di saperlo, in realtà si illudono, perché non lo sanno affatto; ed è anche cosciente che i genitori degli altri figli sanno probabilmente di suo figlio cose che lui stesso non conosce.

Loro, i figli, uno gentilmente, l’altro con le sue maniere, gli hanno fatto capire che la vita ora è solo loro. Lui l’aveva già capito da un pezzo. Quando non rispondevano al cellulare o quando ha scoperto che non era più loro amico su Facebook, cancellato in una notte.

Ritornano alla memoria gli innumerevoli week-end passati con i figli piccoli. Ricordi della loro risata critallina e felice ad ogni scoperta delle cose del mondo. Un uccello in volo, lo sguardo stupito, risate squillanti, il rotolarsi sul tappeto a fare la lotta. Energia ineusaribile. I ricordi più preziosi.
L’idea consolante di aver trasmesso la curiosità per il mondo e di averne temperato le durezze. Perché i figli con un’infanzia felice saranno uomini più probabilmente felici.

Questo e molto altro passa nella mente di un genitore che vede i propri figli crescere ragazzi quasi adulti.

Eppure a volte bastano due piatti come quelli della foto - posati su una tavola apparecchiata e ordinata con qualche frutto della terra in un giardino settembrino - per intuire che le prospettive che si aprono sono davvero “prospettive”: balconi con panorami e colori affacciati su mondo di opportunità, e non da soli.

18 settembre 2011

L'uomo che amava


Uno dei miei film preferiti di sempre.

A dispetto dell'apparente richiamo pruriginoso affibbiato da manifesti e foto di scena, il film di Truffaut del 1977 sa descrivere senza volgarità, con sensibilità e sottigliezza l'universo del corteggiamento.
La sensualità - che pure permea la pellicola - è stemperata dalla lieve ironia del protagonista.
Quest'ultimo - dall’aspetto un po' dimesso e serioso eppur evidentemente irresistibile nella sua determinazione e nel suo fascino tenebroso - tenta di mitigare la propria solitudine - che è poi la solitudine dell’uomo che non accetta di venire a compromessi con le convenzioni sociali - attraverso la ricerca della bellezza. Lo fa inseguendo senza tregua la bellezza femminile.
Ne riceve in cambio riconoscenza, dolcezza, profondità del sentimento femminile e in definitiva molto amore.
L’uomo guarda gli altri uomini e non li capisce, privo com'è totalmente di qualsiasi spirito cameratesco. Li trova fondamentalmente noiosi.

Alla fine, come in molto altri film di Truffaut (non può non venire in mente Farenheit 451), una sola cosa sopravvive davvero al protagonista: il libro.

L'uomo che amava le donne.
Sinceramente, non era proprio questo ciò che avrei voluto fare da grande?

09 settembre 2011

E.


Così ho lasciato la terra “infuocata”.
Non so tra quanti mesi o decenni la rivedrò. Se mai la rivedrò.
Sicuramente non più in questa dimensione.

Sono stato a salutare E. 
Ho lasciato per sempre la veranda ordinata di vasi pieni di fiori, l'albero di limoni, la soffitta calda di sole, il soggiorno pieno dei suoi colori, la cucina in legno verde con tanta cura appena rifatta.
Ho lasciato la vista dell'Etna, che sabato sera prima del tramonto mi ha regalato il suo pennacchio di fumo.

La sua cura delle cose mi mancherà, perché - come diceva negli ultimi giorni, mentre alle due di notte faceva spostare a C. in tutte le posizioni possibili i divani e le sedie della veranda - “la bellezza è importante”.

A volte è faticoso sentirsi idonei alla propria vita.
Lo straniamento da ciò che viviamo si stempera nel tempo della rimozione e con l’abitudine. Percorriamo le regioni della nostra esistenza come viaggiatori destinati a raggiungere mete precise, che spesso non esistono. La meta è il viaggio stesso, il percorso, non lineare e senza una successione prevedibile di eventi.
In queste condizioni attraversiamo l'esperienza dell' amore o della morte.

Così scriveva, in un breve scritto pubblicato due anni fa, pochi giorni prima di sapere della sua malattia.
Troppo semplice forse ipotizzare che la sua sensibilità avesse già capito, prima che fosse un medico a spiegare.

Ma lo scritto rivela solo l'aspetto introspettivo di E.
Perché era anche una donna solare, di una vitalità e generosità fuori dal comune, capace di infondere forza alle persone che le erano intorno.
E a me preme ricordarla anche come la ricorda qui un'amica, oppure in una delle attività cui si dedicava con trasporto. 
Anche se credo E. avrebbe desiderato essere ricordata soprattutto come storica dell'Arte, disciplina cui aveva dedicato in modo professionale almeno trent'anni di vita, tra Bologna, Faenza, Norwich, Calabria e Sicilia.
Io le devo molto.

06 settembre 2011

Facebook killed the blog star (part 1)

Ho sempre ammirato la battuta fulminante, l'aneddoto che in poche frasi circoscrive una vicenda ed è capace di estrarne il succo con ironia.
Ma eccomi qui in Facebook (d’ora in poi fb) in compagnia di un esercito di piccoli aforisti, wannabe Oscar Wilde in erba che sintetizzano la loro vita quotidiana in massime di apparente acume ed efficacia nell'immediato, ma di disarmante e proterva banalità sul medio termine.

Disarmati, i copywriters delle agenzie pubblicitarie impallidiscono di frustrazione di fronte alla abilità  degli utenti di fb più svegli nel promuovere la propria esistenza con slogan fulminanti e irresistibili degni di una campagna finto-provocatoria di Oliviero Toscani.

Ma voglio vederci tra dieci anni a rileggere le stronzate partorite quotidianamente, inorriditi nello scoprire le migliaia di ore perse di fronte al video e rubate alla vita, quella vera.

Fb replica quasi sempre la cerimoniosità ipocrita dell'incontro veloce da sveltina sociale e il desiderio compulsivo di partecipazione, di far parte di qualcosa.
Nella migliore delle ipotesi, si rivela sostituto appena "correct" di Meetic, il social network propugnatore del cuccare.

L'ottusa meraviglia espressa a bocca aperta se parliamo del nostro presente, l'alone nostalgico da lacrimuccia se proiettato nel passato (le foto e i tag della nostra "avventurosa" adolescenza, i video dei nostri beniamini ex-ribelli gonfi del rock 'n'roll), l'entusiamo dell'"ah che bello" se proiettato nel futuro, tutti coinvolti nall'anelante buonismo della campagna etica o bioetica della settimana.
Eccoci ad esaltare la dimensione fugace e superficiale delle persone, delle cose e degli eventi, distillando massime da Baci Perugina.

Come in una composizione aleatoria potrei forse – con un po' di tempo a disposizione - stupire gli avventori, seminando a caso lucide frasi e costruendo immaginari frammenti di vita splendida e  appagante, sommo re degli hipster.
O essere pecoreccio al punto giusto per mimetizzarmi tra gli "amici" di Totti e i fan di Alvaro Vitali.
 

Ma a me terrorizza l'esternazione nella vita reale, figuriamoci quella in rete. Quindi “condivido” male e poco.
La nobile parola "condivisione" (che faccio una fatica boia a mettere in pratica nella vita reale, anche solo in famiglia), fa francamente sorridere se applicata all’immateriale e fugace fb, dove la volontà primaria è in genere quella di condividere ed affermare una cosa sola: il proprio ego.

Facebook killed the blog star (part 2)

A costo di apparire moralista e antipatico, quelle del post precedente sono solo alcune considerazioni di mezza via sull'uso di fb.
Erano posteggiate negli appunti da tempo e mi sono astenuto per un po’ dal pubblicarle perché avrei voluto evitare per una volta di fare lo snob nei confronti di ciò da cui molti traggono piacere, soddisfazione e a cui dedicano molto del loro tempo.
Sono abituato alla mia inattualità. Detestavo i primi “telefonini” per la loro pretesa di rendere tutti sempre reperibili. La storia mi ha dato torto: la maggioranza desidera ardentemente essere sempre reperibile e i cellulari sono dappertutto.
A dare una ulteriore colpo alla mia schizzinosità è l’importanza che i social network hanno mostrato nelle ultime elezioni politiche: capaci di compattare un consenso alternativo che è stato (e sarà) determinante per il risultato e di cui si è parlato fin troppo poco su altri media.

Ma come evitare, siore e siori, di tratteggiare  il profilo sociologico dei nostri utenti di fb?

Fb richiama l'allegrone spensierato, quello con la risata lunga trenta vocali e i gattini teneri teneri.
Richiama come il miele le api il malinconico maturo nostalgico dell'adolescenza "ribelle”, dedito compulsivamente a proporre video musicali risalenti ai gloriosi tempi della sua epopea privata, circoscritta al quartiere sotto casa.
Esalta il depresso da pedata in culo che stigmatizza ad ogni attimo le catastrofi politico-sociali e culturali del paese o che vomita il suo spleen esistenziale.
Amplifica il finto trasgressivo stiloso, sagace lettore del Rolling Stone italiota, quello che osserva Iggy Pop in foto insieme a Donatella Versace senza provare il devastante - e troppo romantico - colpo al cuore che prova il sottoscritto.
Insomma sembra incoraggiare coloro che - come direbbe la mia mamma - “parlano perché hanno la lingua in bocca”.
Oppure è solo perché mi sono scelto “amici” strambi?

Rigetta viceversa l'imploso sociale e il marginale, il quale per altro difficilmente ha un computer collegato in rete.
In sintesi, allontana da sé e rifugge il dolore reale.
Ditemi un po’, mai letto su fb uno stato del tipo:  "Oggi mi preparo per la chemioterapia e stamattina vorrei impiccarmi al ponte dietro casa"?

Facebook killed the blog star (part 3)

Mi sono iscritto a fb molti mesi fa.
Ho pensato che avrebbe potuto essere utile al mio lavoro, oltre che soddisfare la mia curiosità da smanettone e voyeur sociale.


A differenza di alcuni conoscenti che hanno deciso di accettare qualsiasi “amicizia”, ho cercato di selezionare i veri amici e i conoscenti e, per quanto riguarda il lavoro, solo le persone effettivamente conosciute (tranne, lo ammetto, qualche eccezione cui non ho saputo resistere, e vorrei vedere voi).
Quando riesco, faccio un giro e il mio ego è appagato nell'apprendere che i miei oggi 199 amici sono nella media dell'utente medio, anche se così pochi rispetto ai miei “amici” più assidui.

Mi sono commosso un po' nel riconoscermi in foto dimenticate, distribuisco i miei mi piace quando leggo qualcosa per cui sorrido, ho selezionato Carmelo Bene e Stanley Kubrick tra i miei artisti preferiti, ho sorriso rivedendo un vecchio conoscente perduto tanti anni fa, sono diventato "amico" di qualche bonazza curiosa o di qualche anima timida e gentile, ho pubblicato una irrestitibile versione live di Sparks degli Who tratta dall’immancabile Wolfgang’s Vault, sono stato contattato da una simpatica liceale che voleva usare per la sua tesina una mia vecchia ricerca su D'Annunzio e il mondo musicale, ho sorriso agli auguri di compleanno ricevuti anche quest’anno (anche se non ho ancora imparato come si fa a ricevere notifica dei compleanni altrui).
Insomma un utente medio, anche se criticamente medio.

Fb è un'altra manifestazione della trasformazione della nostra cultura e della nostra conoscenza da analitica a sintetica, del passaggio dalla cultura basata sull'approfondimento alla cultura dell'immediato, del frammento, della citazione e della rapidità.
Ulterirore sacrificio dell’analisi in favore della sintesi.

Così rimpiango i blog - messi in crisi da fb e da Twitter (la sua versione cocainomane) - e l'obbligo che impongono di espandere il pensiero e di avere tempo per farsi leggere.
 

Fb e i social network, destinati a cambiare il mondo della comunicazione, sono l'inevitabile alternativa al’imminente tramonto lento della TV degradata.

Hanno già vinto, come vinsero i “telefonini”, ma sono per me già il fastidioso rumore di fondo di questi anni in rete, come una muzak invadente da cui ho sempre più bisogno di disintossicarmi con un po' di pensiero strutturato, come in queste righe un po' noiose.

01 settembre 2011

Back to school

Da una parte il bisogno pressante di uscire dal circolo vizioso dell’aforismo furbetto e autoindulgente imposto da Facebook (che in verità frequento poco e maldestramente), di Twitter (che non frequento) o anche solo dal bombardamento di informazioni, fuori e dentro la rete.
Dall’altra, dopo tanta lontananza, il senso di smarrimento per il foglio bianco di Open Office che mi guarda. Quasi non ci fossero cose con un senso da raccontare o approfondire, dopo aver perso un po’ l’abitudine di raccontare e raccontarsi, di fermarsi a ragionare. E non solo in rete.
Per fortuna si manifesta un po' come un bisogno fisico. Quindi scrivo, ancora.

Verso sinistra, come in natura.

Anche se dipende da dove arrivi e da che strada hai fatto

06 giugno 2011

Zimbello low cost

La recente campagna promozionale di Ryanair, che si direbbe una leggenda metropolitana ma che è invece vera (leggi qui), ha qualcosa di emblematico nel mostrare quanto i media possano ritorcersi contro chi ne abusa.

Pane per gli avvocati del cav, ma anche dimostrazione di quanto si casca in basso in quanto a credibilità delle istituzioni.

Tags tra gli altri: Homo politicus, Merci, Pekoreccio e ovviamente Viaggi.

31 maggio 2011

Milano - Napoli, 29-30 Maggio 2011



Questa era in canna da un po'.
Ed è interregionale, nel senso che va bene a Napoli come a Milano.

01 marzo 2011

Il Maghreb spinge alle porte o era già qui da sempre?

La premessa è che vedo in questi giorni cose allarmanti.
Un'arroganza mai vista nel potere istituzionale, che fa di tutto per difendere se stesso.

Mi allarma ancora di più che in pochi siano allarmati.
Chi ha saltato il fosso perché conviene, chi da anni si culla nella mercificazione della mente e dello spirito critico, chi dice di aver ormai visto tutto e scuote le spalle, chi sconsolato sostiene che "vale tutto", chi ha la visione anestetizzata dalla propria scorza di cinismo.

Non invoco alcuna purezza, ma solo la libertà di essere preoccupato e cercare di immaginare di poter fare qualcosa.


Uno dei metodi tipici per deviare l'attenzione dai veri problemi, in questi giorni di rivoluzioni nel Nord Africa, è quello di inventare i "nemici" alla frontiera, il terrore dell'invasione islamica.

Oggi mi è capitato per caso tra le mani un libro di cui non conoscevo l'esistenza e che non esiterò a comprare appena possibile. Alan Lomax, L'anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia (1954-55), Il Saggiatore, 2008.
Alan Lomax è un celebre musicologo e ricercatore americano che passò un anno della sua vita in Italia per registrare le manifestazioni della musica popolare italiana. Girando con il suo registratore a nastro insieme all'etnomusicologo italiano Diego Carpitella, attraversò la penisola in cerca di testimonianze musicali.
Le sue registrazioni - che non si limitano al patrimonio italiano - sono celeberrime, fanno ormai parte dei patrimonio dell'umanità e sono state tra l'altro usate nella musica pop (vedi per esempio Moby, Play).
Un'ampia selezione di registrazioni può essere ascoltata qui.

Quello che non sapevo è che Lomax fosse anche fotografo. Il libro presenta una serie di splendide foto in bianco e nero scattate in molti paesi italiani che documentano in modo commovente le persone che popolavano l'Italia rurale degli anni Cinquanta.

Osservando queste foto mi sono venute in mente le immagini della Tunisia, dell'Egitto e della Libia di questi giorni di ribellione. Uomini e donne civili, attanagliati da una miseria atavica, vestiti di poveri vestiti, ma armati di grande dignità.
Scrive Lomax che gli italiani del mondo contadino di quegli anni sono uomini piegati dal lavoro duro, che solo nei giorni festa possono permettersi un bicchiere di vino, rarissimamente un piatto di carne. Un paese dove le donne, coperte da veli neri, hanno la proibizione di uscire da sole o incontrare altri uomini. O dove gli stili canori, soprattutto quelli del Sud, hanno melismi che davvero si confondono con quelli della musica araba.

Guarda Guarda.
Ma quello che descrive Lomax negli anni cinquanta è un paese islamico del Nord Africa o la cattolicissima penisola italiana?

Povera Italia, così immemore della sua condizione di soli cinquanta anni fa.

10 febbraio 2011

La protesta del libro scintillante

In questi giorni prendo per buona una frase che risuona intorno a me, dicono1 pronunciata da Don Milani (anche se a dire il vero non ho trovato da alcuna parte conferma che sia stata veramente da lui pronunciata): “A cosa sarà servito avere le mani pulite, se le avremo tenute in tasca”.

Per quanto mi è possibile, sto cercando di partecipare civilmente e fattivamente a ciò che intorno si muove, perché quello che vedo accadere alle istituzioni mi piace sempre meno. Non che prima mi piacesse (anzi), ma in questi giorni ogni volta che leggo il giornale strabuzzo gli occhi (e non davvero per moralismo).
Di fronte a tutto ciò, semplicemente, come diceva la mia vecchia professoressa di filosofia del liceo, mi prendo il diritto di indignarmi. E di conseguenza preferisco indignarmi facendo qualcosa.

Ma al di là di ciò che faccio personalmente, preferisco parlare di Flash Book.


I ragazzi, universitari e liceali, si siedono per terra, in un luogo affollato durante il Sabato pomeriggio dello shopping. Piazza Duomo davanti alla Rinascente, Piazza Cordusio.
In silenzio, ognuno di loro legge un libro. Una lettura solitaria, fatta in mezzo a tanti altri, in mezzo ad altre letture solitarie.
Ognuno di loro protesta silenziosamente, leggendo. Non protesta per un unico motivo condiviso, ma per il proprio motivo.
Per affermare l'importanza della lettura, per controbattere al dilagare dell'ignoranza di chi non è capace di sostenere lo sviluppo dell'educazione.

E non è corretto dare a tutti costi un'intepretazione a questa “protesta”, perché
al centro sta il silenzio e il potere della lettura, offerto in maniera discreta ad una società che di solito urla.

Il passante passa, ironizza, chiede, si stupisce, alza le spalle, capisce, non capisce, brontola, sorride.


Una protesta apartitica e creativa che esprime un bel contrasto con l'impazzare violento che caratterizza la nostra vita pubblica. Violenza così riflessa nella vita quotidiana della Milano di questi giorni.

Vado a curiosare. Perché lì c'è mio figlio.
Colpito ancora dalla sua volontà di partecipare, di socializzare in maniera creativa e costruttiva. Orgoglioso di sentirlo così diverso da me nel suo essere estroverso e partecipativo.

1) Roberto Saviano, Intervento alla manifestazione di Libertà e Giustizia, Palasharp, Milano, 5 Febbraio 2011.

04 febbraio 2011

Gramsci e la black music

In una delle Lettere dal Carcere, a proposito del rischio – paventato da qualche “povero evangelista convinto” - che il buddismo diventi in Europa una forma di idolatria, Gramsci compie una piroetta logica e con una certa ironia commenta così:

Da questo punto di vista, se un pericolo c'è, è costituito piuttosto dalla musica e dalla danza importata in Europa dai negri. Questa musica ha veramente conquistato tutto uno strato della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo. Ora è impossibile immaginare che la ripetizione continuata dei gesti fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che l'avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato degli jazz-bands, rimangano senza risultati ideologici; a) si tratta di un fenomeno enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di persone; specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano tracce profonde e durature; c) si tratta di fenomeni musicali, cioè di manifestazioni che esprimono nel linguaggio più univerale oggi esistente, nel linguaggio che più rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una cività non solo estranea alla nostra, ma certamente meno complessa di quella asiatica, primitiva e elementare, cioè facilmente assimiliabile e generalizzabile dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico. (...)” (Lettera a Tania, 27 Febbraio 1928)

In queste poche righe – che vanno ovviamente relativizzate ad un'epoca in cui la parola “negro” non sollevava obiezioni politically correct - Gramsci ha una intuizione quasi profetica (siamo nel 1928) nell'evidenziare l'aspetto di fascinazione fisica e psicologica posseduto dalla "musica nera", che era allora il jazz di Sidney Bechet e di Louis Armostrong (ma che sarebbe poi diventato soul, rock'n'roll, rock, punk, fino all'hip hop di oggi). E nel mettere in evidenza il potere che questa musica mostrava nel conquistare i cuori e le menti delle giovani generazioni europee.


Non viene det
to esplicitamente, ma parlando di potere “ideologico” della musica nera, Gramsci sembra già intuire – qualche decennio prima di Pasolini – quanto questo fascino interesserà l'industria dell'entertainment - manifestazione tra le tante del potere del consumismo - la quale utilizzerà il vitalismo della musica popolare per trasformarla in un oggetto di consumo.

Che è poi argomento che riguarda l'aspetto ambivalente del rock – nato come forma musicale di ribellone, permeata di grande creatività – poi presto (subito?) trasformato in prodotto di consumo, per lo più consolante e rassicurante.