04 febbraio 2011

Gramsci e la black music

In una delle Lettere dal Carcere, a proposito del rischio – paventato da qualche “povero evangelista convinto” - che il buddismo diventi in Europa una forma di idolatria, Gramsci compie una piroetta logica e con una certa ironia commenta così:

Da questo punto di vista, se un pericolo c'è, è costituito piuttosto dalla musica e dalla danza importata in Europa dai negri. Questa musica ha veramente conquistato tutto uno strato della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo. Ora è impossibile immaginare che la ripetizione continuata dei gesti fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che l'avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato degli jazz-bands, rimangano senza risultati ideologici; a) si tratta di un fenomeno enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di persone; specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano tracce profonde e durature; c) si tratta di fenomeni musicali, cioè di manifestazioni che esprimono nel linguaggio più univerale oggi esistente, nel linguaggio che più rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una cività non solo estranea alla nostra, ma certamente meno complessa di quella asiatica, primitiva e elementare, cioè facilmente assimiliabile e generalizzabile dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico. (...)” (Lettera a Tania, 27 Febbraio 1928)

In queste poche righe – che vanno ovviamente relativizzate ad un'epoca in cui la parola “negro” non sollevava obiezioni politically correct - Gramsci ha una intuizione quasi profetica (siamo nel 1928) nell'evidenziare l'aspetto di fascinazione fisica e psicologica posseduto dalla "musica nera", che era allora il jazz di Sidney Bechet e di Louis Armostrong (ma che sarebbe poi diventato soul, rock'n'roll, rock, punk, fino all'hip hop di oggi). E nel mettere in evidenza il potere che questa musica mostrava nel conquistare i cuori e le menti delle giovani generazioni europee.


Non viene det
to esplicitamente, ma parlando di potere “ideologico” della musica nera, Gramsci sembra già intuire – qualche decennio prima di Pasolini – quanto questo fascino interesserà l'industria dell'entertainment - manifestazione tra le tante del potere del consumismo - la quale utilizzerà il vitalismo della musica popolare per trasformarla in un oggetto di consumo.

Che è poi argomento che riguarda l'aspetto ambivalente del rock – nato come forma musicale di ribellone, permeata di grande creatività – poi presto (subito?) trasformato in prodotto di consumo, per lo più consolante e rassicurante.

3 commenti:

listener-mgneros ha detto...

ti chiedo il favore di scrivere più spesso..manchi terribilmente in mezzo a un mondo per lo più di compilatori dei baci perugina

Anonimo ha detto...

quoto Listener..

Arimondi ha detto...

I miei più assidui (e unici) lettori... :-)