27 gennaio 2008

L'alea sferica

Mostra di Bruno Munari a Milano. Al di là della genialità sorridente dell'artista e del designer, ha ragione l'amico Filippus quando dice che ciò che più colpisce di Munari è l'assenza di qualsisi legame con l'idea dell'artista "tormentato" che spesso accompagna come uno stereotipo la concezione dell'arte anche recente.

Munari è sommamente ironico senza mai apprire cinico (L'Olio su tela è davvero un lenzuolo di tela sporco di olio d'oliva), è allegro senza mai apparire vacuo, è pungente e tuttavia il suo spillo ha una leggerezza infantile (rifilessa anche nell'attenzione continua rivolta all'infanzia), è sistematico senza mai apparire serioso.
Rappresenta la modernità del Novecento senza la spocchia dell'avanguardia radicale, rappresenta la tradizione creativa italiana rinascimentale trasposta ai giorni nostri, quale la vorremmo vedere sbandierata in ogni angolo del mondo.
Insomma una boccata di ossigeno: intelligenza, saggezza e Bellezza nei pochi metri quadri della Rotonda della Besana.

All'uscita, insieme agli oggetti della mostra, vendevano questi dadi sferici. Non ho conferma che siano veramente stati disegnati da Munari, ma non me ne stupirei.
Già di per sé il dado è oggetto che spesso rappresenta il caso (àlea: dado, in latino). Ma l'idea di farli sferici è una iperbole straordinaria. Un eterno rotolare che non darà mai alcuna combinazione risolutoria.
Va bene, mi affido al terribile caso, ma almeno il dado mi offre una soluzione, una decisione, una cifra risolutiva, un numero illuminante. No. Neppure quello. Il dado rotola e rotola all'infinito. Anche da fermo (potrei cercare di fermarlo) non mi darà mai un numero preciso. Quasi tre. Forse cinque.
Mi piace immaginare che solo un uomo allegro come Munari possa aver ideato un'opera così "diabolica".

Li porterò al lavoro, per prendere le decisioni importanti.

23 gennaio 2008

Trullalà


Trullalà.
Ci sono anche giorni così, con il cuore più leggero.

16 gennaio 2008

Inviti superflui

.

Inviti superflui.

Dino Buzzati, Sessanta racconti, 1958

Charlie o del mostrare per esorcizzare

Vorrei morire a questa età
vorrei star fermo mentre il mondo va
ho quindici anni.
Programmo la mia drum-machine
e suono la chitarra elettrica
vi spacco il culo

E' questione d’equilibrio
non è mica facile.

Charlie fa surf, quanta roba si fa
MDMA
ma ha le mani inchiodate
se Charlie fa skate, non abbiate pietà
crocifiggetelo, sfiguratelo in volto
con la mazza da golf
alleluja alleluja

Mi piace il metal, l’r'n’b
ho scaricato tonnellate di
filmati porno
e vado in chiesa e faccio sport
prendo pastiglie che contengono
paroxetina

Io non voglio crescere
andate a farvi fottere

Charlie fa surf, quanta roba si fa
MDMA
ma ha le mani inchiodate
da un mondo di grandi e di preti, fa skate
non abbiate pietà
una mazza da baseball
quanto bene gli fa
alleluja alleluja.

BAUSTELLE, Charlie fa surf, 2008

Ispirata da:



Maurizio Cattelan, Charlie don't surf, 1997

10 gennaio 2008

Vuoto














Misurare il vuoto dentro di sé, nel groviglio fuori.
Nella mancanza.
Nel "venire da un altro pianeta".

Nelle orecchie, playlist Rude&Nasty in shuffle.

- Communist Eyes, Germs
- Long Snake Moan, PJ Harvey
- Date with a Night, Yeah Yeah Yeahs
- Downer, Nirvana
- Mr. Knowitall, Primus
- White Riot, The Clash
- Change, Killing Joke
- Ether, Gang of Four

09 gennaio 2008

Candidi senza lavoro

“So anche,” disse Candido, “che bisognava lavorare il nostro orto.”

“Avete ragione,” rispose Pangloss; “infatti, quando l’uomo fu messo nel Paradiso Terrestre, ci fu messo ut operaretur eum, perché lo lavorasse, la qualcosa prova che l’uomo non è nato per stare in ozio.”

“Lavoriamo senza discutere,” fece Martino, “non c’è altro modo per sopportare la vita." (...)

"Voi dite bene," rispondeva Candido; "(...) noi bisogna che lavoriamo il nostro orto."

Molti citano il Candide di Voltaire come il libro che castiga il positivismo e coloro che insistono sul fatto che viviamo “nel migliore dei mondi possibili”.
Candido, simbolo di un ottimismo irresistibile ma ottuso vive talmente tante sventure, violenze, saccheggi, stupri, ladrocini, uragani, terremoti, pestilenze e altro ancora che, pur nel suo sconfinato candore, alla fine non può fare a meno di vacillare, scalfito nelle proprie certezze.

Eppure Voltaire, pur nella lucida crudezza e nello spietato realismo, chiude il libro con il dialogo qui sopra citato e sembra darci una via di uscita, che non è spesso citata, chissà perché:

Il lavoro.

Senza il lavoro siamo esseri umani a metà.
So personalmente quanto oggi l’incertezza mini la vita e l’equilibrio delle persone. Soprattutto oggi dove il non potersi permettere di fare certe cose corrisponde quasi al non esistere.
Personalmente posso permettermi di dire di amare l’ozio, ma solo perché so di avere, ora, un lavoro.

Dedico questo banale e inutile post a tutte le persone a me vicine e meno vicine che si agitano per il loro lavoro. Per ottenerlo o mantenerlo.
Perché trovino o salvino il loro orto.

07 gennaio 2008

Voyeur del mondo

Lo si può vedere come l'ennesimo fenomeno da Web 2.0: Flickrvision, un sito creato da un intraprendente nerd programmatore che mostra in tempo reale su una mappa del globo le foto che vengono postate su Flickr dagli utenti di tutto il mondo.
Un foto mash-up.
Per chi non lo sapesse, Flickr è il sito di gestione e condivisione di fotografie che vedete linkato qui a destra e che uso anche io per pubblicare le mie foto.

Imperdibile per gli amanti della sociologia spicciola come me. Posso passare mezz'ora immobile a guardare in sequenza: un foto della stazione ferroviaria di Cambridge, una gara di maratona a Hungtinghton Beach, CA, due ragazzotte sbronze e sorridenti in una discoteca a Stoccolma, una signora con cane a Reading, UK. E a interrogarmi sui mille dettagli che scorrono istante dopo istante.

Curiosamente, queste foto mostrano quasi sempre il lato "positivo" del mondo. Il lato light. Non è poco.

Pensate quando al posto delle foto si potrà postare un video girato in tempo reale tipo Youtube: un telegiornale della vita quotidiana in simultanea da tutte le parti del mondo. Quando sarà possibile farlo in streaming, senza limiti di tempo: quanti filmeranno lo propria vita?
Altro che information overload.

03 gennaio 2008

Neve. Ma non illuderti, ha smesso.


Serata di neve a Milano.

Da soli in palestra. Luccichìi diffusi, specchi brillanti. Vuoto pneumatico.

Poi da soli riguardare Crash di Paul Haggis.

Esisteva, anche solo qualche tempo fa, un modo migliore per una serata di neve a Milano.

02 gennaio 2008

RCA (II)



- segue dal post precedente.

Dicevo, la RCA Italiana

La partita di pallone, i Watussi, Il mondo, la bambola, Che sarà. Basta citare queste cinque canzoni – a loro modo capolavori di melodia, ritmica, testo, arrangiamenti orchestrali e sound - per definire lo spirito di un’epoca.
Eppure non tutti sanno che dietro a molte di queste canzoni stanno gli arrangiamenti e la direzione d’orchestra di Ennio Morricone e Luis Bacalov, i testi di Franco Migliacci, la direzione artistica di Vincenzo Micocci, la produzione di Lilli Greco, tutti supportati da dirigenti lungimiranti come Ennio Melis e Giuseppe Ornato.

Lilli Greco, oltre che valido musicista, era funambolo della sperimentazione, capace di manipolare i nastri in modo innovativo e di esigere il massimo dagli orchestrali e dei tecnici in studio, severo nel mettere a nudo i difetti interpretativi e compositivi (storici i litigi con Patty Pravo). Eppure non manca di ricordare che ciò che conta alla fine è la canzone, che la tecnologia a poco serve se manca il “mistero artistico”, quel qualcosa in più di indefinibile capace di muovere le emozioni.

“(...) in particolare il punto in cui lei pronuncia la parola “bambola”: ricordo che io ero nella control room a leggere degli appunti e in quel punto preciso distolsi lo sguardo dal foglio per rivolgerlo alla sala: ero stato come punto da uno spillo. (...) possedeva una scansione ritmica così perfetta da rivelare da sola l’esistenza di un talento fuori del comune. Tu puoi anche spiegare a un cantante quali sono i tempi di una frase, quando deve cadere, come va consumata, però poi basta una frazione di secondo a darle un senso completamente differente. Parliamo di milionesimi di secondo, in cui il “bo” di “bambola” può cascare indifferentemente prima o dopo. E quando casca esattamente lì dove avrebbe dovuto cascare, è un mistero inspiegabile. Patty Pravo, in quella occasione, fu perfetta.”

A me questo passo ricorda lo stupore di Lou Reed di fronte agli archi di Perfect Day.

E’ comunque abbastanza sorprendente che anche allora nessuno aveva modo di avere la certezza che un brano diventasse un successo: era questione di talento, di fiuto, di artigianato e di investimenti, ma alla fine era il gusto della gente a decidere.

Oggi quel modello non sarebbe più proponibile perché troppo cose sono cambiate, ma resta un esempio di come forse avrebbe potuto continuare ad essere creativa l’Italia musicale se i modelli anglosassoni non avessero alla fine stravinto, nel bene e nel male.

Per la cronaca, la RCA non esiste più. Acquisita da Bertelsmann nel 1987, ha cambiato nome in BMG Ariola. Nel 1994 ha comprato la Ricordi diventando BMG Ricordi. Ora è fusa con la Sony Music ed è la Sony-BMG, con sede principale a Milano, filiale a Roma e capitale nippo-tedesco. L’enorme patrimonio di edizioni musicali è di proprietà della Universal Music, a capitale francese.
Degli studi di Via Tiburtina non resta nulla, trasformati in un magazzino di scarpe.
La musica di quegli anni però continuiamo ad ascoltarla ancora oggi.

- Fine



RCA (I)

L’orecchio prevalentemente rivolto verso l’Inghilterra o gli Stati Uniti a volte non permette di cogliere quello che abbiamo o abbiamo avuto in casa.
E’ uscito un libro per me molto interessante. La storia della RCA Italiana, raccontata attraverso la voce di uno dei più importanti e creativi produttori della discografia italiana, Lilli Greco. (Maurizio Becker, C'era una volta la RCA. Conversazioni con Lilli Greco, Coniglio Editore 2007, 352p.)

Durante gli Anni Sessanta e Settanta la RCA Italiana era una macchina da guerra musicale.
I quattro studi di registrazione erano all’avanguardia dal punto di vista tecnico e artisti come Frank Sinatra o Arthur Rubinstein venivano a registrare le loro session nel famoso ed enorme Studio A, allora il più grande del mondo.
Abbey Road a confronto impallidiva (non lo stesso per i quattro che lo abitavano musicalmente...) e in tutta Italia le etichette concorrenti (Durium, Fonit Cetra, CGD) mandavano a incidere i loro artisti in quegli studi.
Roma surclassava Milano e la pur gloriosa Ricordi di Milano, con 150 anni di storia alle spalle (da Rossini a De André, passando per Verdi, Puccini e Respighi), faceva fatica a stare dietro al nuovo modello industriale imposto dagli studi della RCA di Via Tiburtina a Roma.
Le classifiche di vendita degli Anni Sessanta e Settanta erano dominate dalla RCA: Morandi, Pavone, Meccia, Fontana, Patty Pravo, Fidenco. Ma non solo. Nei primi Anni Settanta i cantautori trovarono presso la RCA la struttura capace di finanziarli, produrli e promuoverli: Dalla, De Gregori, Venditti, Battisti, Cocciante, Paoli, Baglioni, Gaetano e Conte. Per citare solo i più celebri.

Attraverso questo libro, anche grazie all’apparato iconografico strepitoso, si capiscono molte cose.
Da una parte un’etichetta discografica ben cosciente delle necessità di produrre risultati economici e profitto che forniva un modello organizzativo severo ma al contempo efficace, con turni di registrazione serrati e inflessibili, grande dispiego di mezzi economici (anticipi spesso a fondo perduto agli artisti) e produttivi (si pensi al Cenacolo, luogo dal nome emblematico dove erano realizzati centinaia di provini a settimana in una decina di mini-studio operativi giorno e notte). Dall’altra produttori esterni e interni, assistenti musicali, direttori artistici, fonici, responsabili degli studi e delle orchestre, addetti alla promozione, alle edizioni musicali e alla vendita. Tutti a lavorare con ed intorno all'artista. In pratica, uomini capaci, dotati di altissime professionalità e di una visione artistica che avrebbe cambiato la storia della musica commerciale in Italia.

- continua nel post successivo

Natale 2 (in ritardo)

Mio figlio di dieci anni: “Papà, hai visto che è uscito un film che si chiama Babbo Bastardo”?

“Si, ho visto, mi hanno detto che è divertente, anche se credo un pò cattivello"

“Eh già, papà” – ridendo – “potresti interpretarlo tu, no?”

2008 e bloggers in their twenties

Fine anno. C'è tempo per le playlist.
Per i propositi no, perché non li ho ancora espressi tra me e me e non è detto che lo faccia.





Ma c'è una cosa che salta agli occhi in questo fine anno e di cui mi piace scrivere.
Il cerchio di chi scrive "in sintonia" (parola troppo grande forse?) si è allargato e si allarga guarda caso ai ventenni.
Londoncallingste e Madison Fallen si leggono spesso qua e là ed è assai godibile leggerli. Non credo sia solo la passione per un periodo musicale a noi caro, i primi anni Ottanta, che crea legami.
E' la grana delle sensazioni espresse.

Vivono desideri e inquietudini simili alle mie (nostre?) di quarantenne e sono al contempo più inesperti (quante sensazioni simili già vissute, risolte, non risolte...) e un pò più saggi (svestiti delle ideologie, molto più pragmatici) e anche più freschi ( almeno mi piace immaginarli così, anche sui gusti musicali).

I trentenni ce li siamo quasi persi per strada?
Un pò lo si sa, lo si dice in giro da tempo. Se non è vero, alzino la mano che mi rimangio l'affermazione.

Scusate la sociologia spicciola, forse il paternalismo, lo so che odiate tutti le generalizzazioni e anche io detesto i "volemosse bbene", tuttavia quello che ho scritto mi pare un dato di fatto.
E per sdrammatizzare e mantenere il mio (dicono) proverbiale cinismo cito una citazione di Londoncallingste: "odiami e tagliami le mani che prima o poi ti rubo i sentimenti buoni".

Buon anno a voi lettori.