18 settembre 2011

L'uomo che amava


Uno dei miei film preferiti di sempre.

A dispetto dell'apparente richiamo pruriginoso affibbiato da manifesti e foto di scena, il film di Truffaut del 1977 sa descrivere senza volgarità, con sensibilità e sottigliezza l'universo del corteggiamento.
La sensualità - che pure permea la pellicola - è stemperata dalla lieve ironia del protagonista.
Quest'ultimo - dall’aspetto un po' dimesso e serioso eppur evidentemente irresistibile nella sua determinazione e nel suo fascino tenebroso - tenta di mitigare la propria solitudine - che è poi la solitudine dell’uomo che non accetta di venire a compromessi con le convenzioni sociali - attraverso la ricerca della bellezza. Lo fa inseguendo senza tregua la bellezza femminile.
Ne riceve in cambio riconoscenza, dolcezza, profondità del sentimento femminile e in definitiva molto amore.
L’uomo guarda gli altri uomini e non li capisce, privo com'è totalmente di qualsiasi spirito cameratesco. Li trova fondamentalmente noiosi.

Alla fine, come in molto altri film di Truffaut (non può non venire in mente Farenheit 451), una sola cosa sopravvive davvero al protagonista: il libro.

L'uomo che amava le donne.
Sinceramente, non era proprio questo ciò che avrei voluto fare da grande?

09 settembre 2011

E.


Così ho lasciato la terra “infuocata”.
Non so tra quanti mesi o decenni la rivedrò. Se mai la rivedrò.
Sicuramente non più in questa dimensione.

Sono stato a salutare E. 
Ho lasciato per sempre la veranda ordinata di vasi pieni di fiori, l'albero di limoni, la soffitta calda di sole, il soggiorno pieno dei suoi colori, la cucina in legno verde con tanta cura appena rifatta.
Ho lasciato la vista dell'Etna, che sabato sera prima del tramonto mi ha regalato il suo pennacchio di fumo.

La sua cura delle cose mi mancherà, perché - come diceva negli ultimi giorni, mentre alle due di notte faceva spostare a C. in tutte le posizioni possibili i divani e le sedie della veranda - “la bellezza è importante”.

A volte è faticoso sentirsi idonei alla propria vita.
Lo straniamento da ciò che viviamo si stempera nel tempo della rimozione e con l’abitudine. Percorriamo le regioni della nostra esistenza come viaggiatori destinati a raggiungere mete precise, che spesso non esistono. La meta è il viaggio stesso, il percorso, non lineare e senza una successione prevedibile di eventi.
In queste condizioni attraversiamo l'esperienza dell' amore o della morte.

Così scriveva, in un breve scritto pubblicato due anni fa, pochi giorni prima di sapere della sua malattia.
Troppo semplice forse ipotizzare che la sua sensibilità avesse già capito, prima che fosse un medico a spiegare.

Ma lo scritto rivela solo l'aspetto introspettivo di E.
Perché era anche una donna solare, di una vitalità e generosità fuori dal comune, capace di infondere forza alle persone che le erano intorno.
E a me preme ricordarla anche come la ricorda qui un'amica, oppure in una delle attività cui si dedicava con trasporto. 
Anche se credo E. avrebbe desiderato essere ricordata soprattutto come storica dell'Arte, disciplina cui aveva dedicato in modo professionale almeno trent'anni di vita, tra Bologna, Faenza, Norwich, Calabria e Sicilia.
Io le devo molto.

06 settembre 2011

Facebook killed the blog star (part 1)

Ho sempre ammirato la battuta fulminante, l'aneddoto che in poche frasi circoscrive una vicenda ed è capace di estrarne il succo con ironia.
Ma eccomi qui in Facebook (d’ora in poi fb) in compagnia di un esercito di piccoli aforisti, wannabe Oscar Wilde in erba che sintetizzano la loro vita quotidiana in massime di apparente acume ed efficacia nell'immediato, ma di disarmante e proterva banalità sul medio termine.

Disarmati, i copywriters delle agenzie pubblicitarie impallidiscono di frustrazione di fronte alla abilità  degli utenti di fb più svegli nel promuovere la propria esistenza con slogan fulminanti e irresistibili degni di una campagna finto-provocatoria di Oliviero Toscani.

Ma voglio vederci tra dieci anni a rileggere le stronzate partorite quotidianamente, inorriditi nello scoprire le migliaia di ore perse di fronte al video e rubate alla vita, quella vera.

Fb replica quasi sempre la cerimoniosità ipocrita dell'incontro veloce da sveltina sociale e il desiderio compulsivo di partecipazione, di far parte di qualcosa.
Nella migliore delle ipotesi, si rivela sostituto appena "correct" di Meetic, il social network propugnatore del cuccare.

L'ottusa meraviglia espressa a bocca aperta se parliamo del nostro presente, l'alone nostalgico da lacrimuccia se proiettato nel passato (le foto e i tag della nostra "avventurosa" adolescenza, i video dei nostri beniamini ex-ribelli gonfi del rock 'n'roll), l'entusiamo dell'"ah che bello" se proiettato nel futuro, tutti coinvolti nall'anelante buonismo della campagna etica o bioetica della settimana.
Eccoci ad esaltare la dimensione fugace e superficiale delle persone, delle cose e degli eventi, distillando massime da Baci Perugina.

Come in una composizione aleatoria potrei forse – con un po' di tempo a disposizione - stupire gli avventori, seminando a caso lucide frasi e costruendo immaginari frammenti di vita splendida e  appagante, sommo re degli hipster.
O essere pecoreccio al punto giusto per mimetizzarmi tra gli "amici" di Totti e i fan di Alvaro Vitali.
 

Ma a me terrorizza l'esternazione nella vita reale, figuriamoci quella in rete. Quindi “condivido” male e poco.
La nobile parola "condivisione" (che faccio una fatica boia a mettere in pratica nella vita reale, anche solo in famiglia), fa francamente sorridere se applicata all’immateriale e fugace fb, dove la volontà primaria è in genere quella di condividere ed affermare una cosa sola: il proprio ego.

Facebook killed the blog star (part 2)

A costo di apparire moralista e antipatico, quelle del post precedente sono solo alcune considerazioni di mezza via sull'uso di fb.
Erano posteggiate negli appunti da tempo e mi sono astenuto per un po’ dal pubblicarle perché avrei voluto evitare per una volta di fare lo snob nei confronti di ciò da cui molti traggono piacere, soddisfazione e a cui dedicano molto del loro tempo.
Sono abituato alla mia inattualità. Detestavo i primi “telefonini” per la loro pretesa di rendere tutti sempre reperibili. La storia mi ha dato torto: la maggioranza desidera ardentemente essere sempre reperibile e i cellulari sono dappertutto.
A dare una ulteriore colpo alla mia schizzinosità è l’importanza che i social network hanno mostrato nelle ultime elezioni politiche: capaci di compattare un consenso alternativo che è stato (e sarà) determinante per il risultato e di cui si è parlato fin troppo poco su altri media.

Ma come evitare, siore e siori, di tratteggiare  il profilo sociologico dei nostri utenti di fb?

Fb richiama l'allegrone spensierato, quello con la risata lunga trenta vocali e i gattini teneri teneri.
Richiama come il miele le api il malinconico maturo nostalgico dell'adolescenza "ribelle”, dedito compulsivamente a proporre video musicali risalenti ai gloriosi tempi della sua epopea privata, circoscritta al quartiere sotto casa.
Esalta il depresso da pedata in culo che stigmatizza ad ogni attimo le catastrofi politico-sociali e culturali del paese o che vomita il suo spleen esistenziale.
Amplifica il finto trasgressivo stiloso, sagace lettore del Rolling Stone italiota, quello che osserva Iggy Pop in foto insieme a Donatella Versace senza provare il devastante - e troppo romantico - colpo al cuore che prova il sottoscritto.
Insomma sembra incoraggiare coloro che - come direbbe la mia mamma - “parlano perché hanno la lingua in bocca”.
Oppure è solo perché mi sono scelto “amici” strambi?

Rigetta viceversa l'imploso sociale e il marginale, il quale per altro difficilmente ha un computer collegato in rete.
In sintesi, allontana da sé e rifugge il dolore reale.
Ditemi un po’, mai letto su fb uno stato del tipo:  "Oggi mi preparo per la chemioterapia e stamattina vorrei impiccarmi al ponte dietro casa"?

Facebook killed the blog star (part 3)

Mi sono iscritto a fb molti mesi fa.
Ho pensato che avrebbe potuto essere utile al mio lavoro, oltre che soddisfare la mia curiosità da smanettone e voyeur sociale.


A differenza di alcuni conoscenti che hanno deciso di accettare qualsiasi “amicizia”, ho cercato di selezionare i veri amici e i conoscenti e, per quanto riguarda il lavoro, solo le persone effettivamente conosciute (tranne, lo ammetto, qualche eccezione cui non ho saputo resistere, e vorrei vedere voi).
Quando riesco, faccio un giro e il mio ego è appagato nell'apprendere che i miei oggi 199 amici sono nella media dell'utente medio, anche se così pochi rispetto ai miei “amici” più assidui.

Mi sono commosso un po' nel riconoscermi in foto dimenticate, distribuisco i miei mi piace quando leggo qualcosa per cui sorrido, ho selezionato Carmelo Bene e Stanley Kubrick tra i miei artisti preferiti, ho sorriso rivedendo un vecchio conoscente perduto tanti anni fa, sono diventato "amico" di qualche bonazza curiosa o di qualche anima timida e gentile, ho pubblicato una irrestitibile versione live di Sparks degli Who tratta dall’immancabile Wolfgang’s Vault, sono stato contattato da una simpatica liceale che voleva usare per la sua tesina una mia vecchia ricerca su D'Annunzio e il mondo musicale, ho sorriso agli auguri di compleanno ricevuti anche quest’anno (anche se non ho ancora imparato come si fa a ricevere notifica dei compleanni altrui).
Insomma un utente medio, anche se criticamente medio.

Fb è un'altra manifestazione della trasformazione della nostra cultura e della nostra conoscenza da analitica a sintetica, del passaggio dalla cultura basata sull'approfondimento alla cultura dell'immediato, del frammento, della citazione e della rapidità.
Ulterirore sacrificio dell’analisi in favore della sintesi.

Così rimpiango i blog - messi in crisi da fb e da Twitter (la sua versione cocainomane) - e l'obbligo che impongono di espandere il pensiero e di avere tempo per farsi leggere.
 

Fb e i social network, destinati a cambiare il mondo della comunicazione, sono l'inevitabile alternativa al’imminente tramonto lento della TV degradata.

Hanno già vinto, come vinsero i “telefonini”, ma sono per me già il fastidioso rumore di fondo di questi anni in rete, come una muzak invadente da cui ho sempre più bisogno di disintossicarmi con un po' di pensiero strutturato, come in queste righe un po' noiose.

01 settembre 2011

Back to school

Da una parte il bisogno pressante di uscire dal circolo vizioso dell’aforismo furbetto e autoindulgente imposto da Facebook (che in verità frequento poco e maldestramente), di Twitter (che non frequento) o anche solo dal bombardamento di informazioni, fuori e dentro la rete.
Dall’altra, dopo tanta lontananza, il senso di smarrimento per il foglio bianco di Open Office che mi guarda. Quasi non ci fossero cose con un senso da raccontare o approfondire, dopo aver perso un po’ l’abitudine di raccontare e raccontarsi, di fermarsi a ragionare. E non solo in rete.
Per fortuna si manifesta un po' come un bisogno fisico. Quindi scrivo, ancora.

Verso sinistra, come in natura.

Anche se dipende da dove arrivi e da che strada hai fatto