28 gennaio 2010

Tagli che separano

Il mio amico M. ha avuto un figlio. La cosa mi rende naturalmente felice perché gli voglio bene.
Mi ha raccontato che, oltre che assistere al parto di sua moglie in acqua, gli hanno dato il compito di tagliare il cordone ombelicale.

Non mi ero mai fermato molto a riflettere su questo atto, in genere affidato a medici o levatrici, né sapevo che fosse permesso ai padri farlo.
Mi sembra un gesto dal grande valore simbolico, per il nuovo nato e per sé. Il padre rende cosciente se stesso e inconsciamente il bambino che suo compito sarà anche accompagnarlo verso l'indipendenza e l'affrancamento, tagliando fin dall'inizio il legame profondo - in questo caso, fisico - che il piccolo ha con i genitori.
Quasi una iniezione di realismo.

Un giorno mio padre mi disse chiaramente che non intedeva più contribuire al mio mantenimento. Ero un ragazzo adulto, avevo finito l'università. Era ovviamente giusto così.
Ho scoperto dopo un po' di tempo quanto fu utile la sua decisione per la mia crescita personale. Ma io ci rimasi comunque male.

Forse, mi chiedo ora sorridendo, mi avrebbe ferito di meno se il mio cordone ombelicale fosse stato tagliato tanti anni prima non da uno sconosciuto in camice bianco ma da lui stesso? E' un dubbio che mi sfiora lieve in questi giorni.

6 commenti:

listener-mgneros ha detto...

ho bisogno di leggerti più spesso, tra tutte le cianfrusaglie che imperversano

Arimondi ha detto...

Sei sempre il benvenuto. :-)

Man of Roma ha detto...

Non so perché, ma è venuto fuori questo sproloquio, spero non ti dispiaccia. Sono il solito sbrodolone .....

Man of Roma ha detto...

Un giorno mio padre mi disse chiaramente che non intendeva più contribuire al mio mantenimento. Ero un ragazzo adulto, avevo finito l'università. Era ovviamente giusto così.

Forse, mi chiedo ora sorridendo, mi avrebbe ferito di meno se il mio cordone ombelicale fosse stato tagliato tanti anni prima non da uno sconosciuto in camice bianco ma da lui stesso?

E' lieve dubbio, e in effetti non te ne saresti accorto, e se magari te lo raccontavano dopo … ma a contare è il rapporto genitori e figli che deve evolvere in rapporto tra adulti *indipendenti* - sarà banale, ma i figli non sono certo nostri - sennò problemacci per entrambi, figli soprattutto.

La sofferenza fa bene, se uno non ne viene annientato. E' stato positivo che ti abbia tolto in qualche modo il salvagente, perché il salvagente fa veramente male. In Italia siamo troppo protettivi, in Inghilterra troppo poco, ci vorrebbe diavolo una via di mezzo.

Ognuno ha avuto il suo tortuoso percorso di formazione.

Tuo padre era genovese, il mio era piemontese, ateo ma di lontana origine valdese (dall’impronta fortissima però).

Il rapporto con lui è stato non facile. Lui mi vedeva forse più romano, e a lui non andava. C'era un protestantesimo di fondo ammantato del velluto, gentilezza, ma in realtà duro come il ferro e, nella cortesia, quasi spietato (anche contro se stesso poverino).

Un mondo ce percepivo un po’ lugubre – qui splende il sole - con tante rinunce e doveri vissuti per me non del tutto umananamente – li trovavo aridi – io con una madre e un ambiente romani godereccio attorno.

C'erano per esempio condanne rigide, non flessibili, inappellabili, e colpe - facevo vari casini, non posso non riconoscerlo - che non si redimevano un granché, non come i cattolici che lavano tutto con la confessione, e via di nuovo festosamente a peccare. Ogni cosa la si legava al dito.

Man of Roma ha detto...

Fui comunista nei miei primissimi vent'anni, cazzo ero così giovane, erano tutti comunisti: me l’avesse mai veramente perdonato, mi voleva diseredare, non scherzo. Io ero incerto nei comportamenti perché qualsiasi cosa poteva dimostrare – ai suoi occhi – che io non era della ‘razza superiore’ - i protestanti direbbero cioè 'dannato', ma qui c’entrano le idelogie degli anni 30 anche eccome, come per tuo nonno forse - cui lui pensava di appartenere – lui e la sua famiglia – ma che poi ha dovuto ridimensionare tristemente da anziano. L'idea delle razze superiori non solo è sbagliata scientificamente, fa un po' ridere.

Cordone? Lui non voleva rompere nulla, anzi cercava di tenermi / ci legato /i a sé.

E allora un giorno, non trovando che la strada della cialtroneria – tanto pecora nera comunque ero – mi sono largamente rotto i coglioni, gli ho rubato dei soldi e me ne sono andato a vivere con degli amici per conto mio.

Era il 69-70, puoi immaginare, casini così ovunque. Nonostante le cazzate fatte – tante – mi ha fatto un gran bene. Mollati gli studi li ho poi ripresi e mi sono laureato brevemente con quasi tutti 30. Ovviamente tutto il parentado mi aveva bollato, da parte di tutti i e 2 i genitori.

Poi ho incontrato mia moglie che mi ha aiutato, e ho rimesso imsieme i cocci, cominciando un lavoro duro e umiliante che però mi ha anche un po' rigenerato, ho fatto due bellissime figlie belle toste e stranamente molto piemontesi.
[mia moglie e tostissima pure, gli hanno dato la medaglia d'oro i tedeschi, tanto per dare un idea]

Qualche anno dopo ci siamo ricongiunti, papà ed io, e abbiamo parlato tanto …. Poi se ne è andato.

Un giorno solo prima di morire - l'aveva capito - mi ha detto calmissimo e con disumana - ma ammirevolissima gentilezza piemontese: "sono disperato ... e ti voglio bene."

Sono fiero di come sia morto. Non so se molti muoiono così. E scusa se qui ho parlato sono degli aspetti negativi tra noi. Ci sarebbe tanto di molto positivo da dire.

Un abbraccio

Arimondi ha detto...

Ho conosciuto molti degli aspetti positivi di tuo padre, Man of Rome. In primo luogo, la generosità che ho sperimento io stesso, per esempio.
Non ho vissuto, per ovvi motivi, la severità di cui parli e a cui però non stento a credere.

Ho sempre avuto l'impressione che il suo essere piemontese della valli valdesi a Roma non gli rese la vita facile. Quasi una condanna in aggiunta alle difficoltà della vita (e non erano poche) che aveva incontrato.
Credo che abbia pagato molto per la sua "rigidezza", sia genetica (i generali piemontesi con la loro immagine più che ingombrante), sia generazionale (era pur sempre uomo di inizio Novecento).

Eppure lo ricordo come un piccolo uomo con un coraggio da leoni, sempre pronto ad affrontare le difficoltà con una caparbietà incredibile, capace di un senso del dovere indimenticabile, con l'imperativo categorico di non deludere quell'educazione un po' rigida che gli era stata impartita con tanto amore da persone così diverse da quelle della cultura tosco-laziale con cui conviveva a Roma, luogo dove domina piuttosto una intrinseca e meravigliosa "leggerezza" del vivere.

E' stato capace di molto amore e di grande dedizione. Forse si potrebbe dire che abbia sacrificato molto di sé, con un'unione severa di dedizione e senso del dovere. Ma non avrebbe potuto fare altrimenti, credo.

Ti sembrerà strano, ma, con i dovuti distinguo (sono pur sempre un "austero" cialtrone), mi identifico spesso con lui.
Per esempio nel desiderio forte che le persone che sono intorno a me e che amo stiano bene e che questa cosa, tanto mi appaga più di molte altre quando avviene, quanto mi abbatte quando non si realizza (il che, realisticamente, avviene più spesso).