Sono contento di prendermi il tempo di parlare del CD di
Franco con questo progetto dimostra di essere ciò che è: persona di grande energia che anima la vita culturale di Genova. Con una modestia e un continuo interrogarsi che gli fanno onore e che traspare ogni giorno dal suo animato e visitato blog o dai suoi sms aforistici con cui puntella e a volte sostiene le mie giornate e quelle dei suoi amici più vicini.
Per un genovese fa uno strano effetto ascoltare i versi Cesare Pavese cantati da un piemontese che vive a Genova. Come mettere il naso in qualcosa di privato che noi, gente abituata alla luce marina e al vento teso, non possiamo capire fino in fondo. Simile specularmente alla perplessità di un Paolo Conte di fronte ai lini e alle vecchie lavande nell’ombra dei nostri armadi.
Ho sempre letto Pavese con questa difficoltà a capire lo spirito piemontese che lo pervade. Solo quella parte di sangue piemontese che mi corre nelle vene sembra mettermi in sintonia con la dignitosa accettazione di un destino umano senza speranza e con una auto-disciplina che solo chi ha a che fare con il Piemonte e Torino può capire.
Il rischio di mettere in musica le poesie di Pavese sono note: l’effetto Fiorello che canta San Martino di Carducci è dietro l’angolo: quell’effetto che incastra forzatamente la metrica poetica dentro alla rigidità della forma canzone con un risultato che nel miglior dei casi è ridicolo, quando non offensivo per la letteratura tutta.
Questo non succede mai (a parte rarissimi casi) nelle canzoni di Last Blues. Con una abilità che non so se accreditare del tutto a Franco o se insita nella forma stessa poetica di Pavese, i versi si incastrano nelle strofe e nei ritornelli con grande naturalezza.
Le desolazione del verso pavesiano quasi contrasta con la dolcezza di un pop nobile, venato da influenze beatlesiane da una parte, ma anche e soprattutto Alternative. Si ascoltano ritmiche e bassi post-punk (Joy Division, The Church), riff alla Steve Wynn chitarre e artigianato alla Elliott Smith, ma su tutto vince sempre lo slancio melodico, quasi radiofonico, dei ritornelli. Bisogna concentrarsi sulle parole per sentirsi colpire allo stomaco, laddove la musica tende naturalmente ad una maggiore leggerezza che rende il tutto fruibile ma
Zaio suona (quasi) tutto: voce, chitarra acustica, chitarra elettrica, basso, batteria, l’amato tamburello, organo e pianoforte. La cosa rende se possibile ancora più emerito il suo sforzo. Da segnalare anche la partecipazione di Andrea Frascolla con
Qualche arditezza armonica e formale in più non sarebbe stata sgradita, così come mi auguro che Franco trovi più occasioni per stendere la sua bella voce, forse qua là un po’ arrugginita da un forzato non costante esercizio. Ma i piccoli nei scompaiono di fronte al coraggio dimostrato nel cimentarsi con un progetto di questo tipo e all’ottimo risultato complessivo: canzoni di grande spessore da ascoltare e riascoltare.
5 commenti:
Bravi!
Tu e Franco..
Veramente bravi entrambi. Tu Arimondi, con un commento articolato, colto e sentito, lui con il suo coraggio ma diciamo anche la bellezza del risultato. Ho ascoltato le tre canzoni che Zaio propone al pubblico. Mi sa che mi prenderò il CD. Il fatto poi che si tratti di prodotto piemontese (ne riconosco alcuni accenti) mi intriga ancora di più.
Abbracci e claps da Roma
Grazie Arimondi. Sottoscrivo e apprezzo tutto. Al prossimo disco :-) Forse un live ad Acqui a fine ottobre con YoYoMundi: farò sapere.
La vita SOTTOCULTURALE, forse. Non sono e non sarò mai, ahimè, uno di quelli che il mio amico Labranca chiama "Intellettuali Accettati"
:-/
Capisco, in parte, l'ahimé, ma così hai il vantaggio di avere molta più libertà di manovra.
Battitore libero in campo (ehm, quasi) neutro.
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