Il nuovo modello di una lussuosa auto viene pubblicizzata con uno slogan: "Rock'n'roll"
Ieri zappavo su una trasmissione televisiva intitolata "Ma si può vivere senza rock'n'roll"?
Veniva intervistato tra gli altri Massimo Gramellini (ottimo giornalista de La Stampa) che affermava che senza musica classica si può forse vivere, ma certo non senza rock'n'roll (citando per altro rappresentanti iper-mainstream del rock come Led Zeppelin e Genesis).
Che il rock avesse perso la spinta provocatoria l'avevamo capito da un pezzo (anche molto prima di vedere i bolsi Deep Purple ospiti da Luciano Pavarotti). L'ideale vive più che altro nei nostri cuori, nell'immagine di noi adolescenti con una Stratocaster in mano che ora amiamo ricostruire dentro di noi e tra di noi, tuttora alla ricerca di un barlume di "autenticità" nel vasto universo dell'Alternative (e mi rendo conto della ambiguità e della relatività del termine autenticità).
Però a me fa ancora effetto vedere la parola "rock'n'roll" usata ed abusata, diventare uno slogan per la pubblicità patinata oppure una bandiera per una generazione diventata classe dirigente. Cose che sono l'opposto dello sporco, della devianza e della rabbia che il rock'n'roll ha cercato di rappresentare.
Da sempre il rock'n'roll, almeno come l'ho inteso io, è una attitudine, non un genere musicale.
In questo senso non riesce a essere inquadrato dalle parole dei pubblicitari o dai grandi media, anche di sinistra.
Chi incomincia a suonare rock'n'roll la fa sempre con un'attitudine trasgressiva. Eppure, in un mondo in cui la provocazione è non è più solo la norma ma anche quasi l'unico codice comunicativo, sempre di più vedremo la parola e l'immagine rappresentare qualche cosa o qualcuno di assolutamente integrato.
1 commento:
Sante parole, Ari, sante parole.
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