12 novembre 2006

Freddo Sporco negli Ottanta

Come scrive Tommaso Labranca nel suo Il piccolo isolazionista (Castelvecchi, 2006) (courtesy Franco), il messaggio che il Synthpop dei primi Anni Ottanta - da lui definito il Freddo Pulito degli Anni Ottanta - lanciava ai piccoli seguaci adolescenti, chiusi nelle loro camerette, era: "Uscire da qui per raggiungere l'orizzonte. E superarlo" (p. 65). Il suono era linare, sintetico, spesso glamour. New Order, Depeche Mode, Tears for Fears per intenderci. Il tono era dettato dall'eleganza e dal distacco ed è il sound da cui si sviluppò in seguito tanto British pop da classifica.

Al contrario, il messaggio di noi altri che frequentavano (anche noi nelle nostre camerette) il Freddo Sporco degli Anni Ottanta era: "E' inutile che ti agiti, tanto non c'è futuro".
Era un suono le cui trame erano intessute di rumori elettrici, sporchi e sudati e il tono era il nero, un nero essenziale e radicale. Joy Division, Wire, Television. Poca classifica (e molto snobismo).

Fu forse questo estremismo eccessivo unito ad una vena caratteriale realista a salvare noi "Freddi Sporchi" da quegli Anni Ottanta o solo l'essere nati in una famiglia borghese e protettiva?

E poi, siamo davvero salvi?

photo © The Button Museum 2002

2 commenti:

Franco Zaio ha detto...

Combinazione: proprio ieri ho spolverato la spilletta dei PIL dopo aver visto il clip di Public image, grandissimi. Anche io ho apprezzato molto quelle pagine di T-L (sai che mi ha scritto diverse volte? E' un grande, anche per questo)Io non vedo però snobismo nel mio Freddo Sporco: piuttosto tristezza, rabbia, depressione. E tanta poesia. Non so se e in quale senso ci siamo salvati: sicuramente dalla deriva autodistruttiva e da quella yuppistica/stronza. Non è cosa da poco. La mia famiglia ha poco a che fare, col mio Freddo Sporco, anzi ne era una causa. Ciao

Arimondi ha detto...

Lo snobismo mi pare di poter dire si potesse cogliere nella certezza che quella fosse l'unica e migliore musica del mondo. Ricordo una lettera che inviai a Ciao 2001 piena di veleno nei confronti della manine grassocce e unte di Rick Wakeman e dei suoi virtuosisimi, che mi apparivano fini a se stessi (anche se avevo "The Six Wives of Henry VIII" e qualche anno prima l'avevo consumato). Faceva parte del bellissimo furore di quegli anni, in cui abbiamo saputo essere creativi (anche se modestamente per quanto mi riguarda) e abbiamo sviluppato un senso critico di cui più difficilmente John Travolta ci avrebbe fornito.