04 gennaio 2007

L'uomo che saltava i paracarri

Svoltato l'angolo che mi porta a casa (proprio l'angolo dove qualunque
telefonata cade per qualche strana congiura dei ripetitori) un uomo davanti a me ha tirato fuori il meglio del genere umano.



Era un uomo sulla sessantina, distinto, con cappotto nero e cappello nero, da cui facevano capolino molti capelli bianchi.

Balzando come uno stambecco, è salito sul primo di una lunga fila di paracarri di cemento (quelli che impediscono la sosta e che vengono definiti volgarmente "dissuasori di parcheggio").
Con una leggerezza da bambino ha cominciato a saltare da uno all'altro. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto e oplà atterrando dolcemente.
Appena atterrato, ha ripreso il suo passo da quasi pensionato, senza neanche voltarsi indietro.

L'ho seguito per un pò lungo la mia strada sorridendo da orecchio a orecchio e quando si è fermato per tirare fuori le chiavi di tasca ed entrare nel suo portone, non ho potuto fare a meno di parlargli e confessare a lui e alla sua barba che quei paracarri erano proprio irresistibili e che anche io mi ripromettevo di fare lo stesso prima o poi.
Era imbarazzato, ma sorridente. Visibilmente contento di questo tuffo nell'infanzia che aveva fatto.

Poi i nostri sguardi sono tornati quelli di due signori estranei e solo il mio gesto del braccio per salutarlo ricordava quello di un ragazzo.

Un avvenimento di questo tipo ti ripaga delle piccole amarezze di una giornata.

Questo episodio mi è accaduto qualche mese fa. Lo riporto qui immaginando che a qualcuno forse farà piacere rileggerlo.
Per la cronaca, non ho ancora saltato da uno di quei paracarri all'altro. Ma lo farò prima o poi.

1 commento:

Franco Zaio ha detto...

Wow, roba da Travel & Adventure! Ami le esperienze estreme eh? Scherzo: l'aneddoto è carino e molto gaberiano.
Ti segnalo andreacarraro.blogspot.com.
Gabba gabba mìa!