06 giugno 2011

Zimbello low cost

La recente campagna promozionale di Ryanair, che si direbbe una leggenda metropolitana ma che è invece vera (leggi qui), ha qualcosa di emblematico nel mostrare quanto i media possano ritorcersi contro chi ne abusa.

Pane per gli avvocati del cav, ma anche dimostrazione di quanto si casca in basso in quanto a credibilità delle istituzioni.

Tags tra gli altri: Homo politicus, Merci, Pekoreccio e ovviamente Viaggi.

31 maggio 2011

Milano - Napoli, 29-30 Maggio 2011



Questa era in canna da un po'.
Ed è interregionale, nel senso che va bene a Napoli come a Milano.

01 marzo 2011

Il Maghreb spinge alle porte o era già qui da sempre?

La premessa è che vedo in questi giorni cose allarmanti.
Un'arroganza mai vista nel potere istituzionale, che fa di tutto per difendere se stesso.

Mi allarma ancora di più che in pochi siano allarmati.
Chi ha saltato il fosso perché conviene, chi da anni si culla nella mercificazione della mente e dello spirito critico, chi dice di aver ormai visto tutto e scuote le spalle, chi sconsolato sostiene che "vale tutto", chi ha la visione anestetizzata dalla propria scorza di cinismo.

Non invoco alcuna purezza, ma solo la libertà di essere preoccupato e cercare di immaginare di poter fare qualcosa.


Uno dei metodi tipici per deviare l'attenzione dai veri problemi, in questi giorni di rivoluzioni nel Nord Africa, è quello di inventare i "nemici" alla frontiera, il terrore dell'invasione islamica.

Oggi mi è capitato per caso tra le mani un libro di cui non conoscevo l'esistenza e che non esiterò a comprare appena possibile. Alan Lomax, L'anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia (1954-55), Il Saggiatore, 2008.
Alan Lomax è un celebre musicologo e ricercatore americano che passò un anno della sua vita in Italia per registrare le manifestazioni della musica popolare italiana. Girando con il suo registratore a nastro insieme all'etnomusicologo italiano Diego Carpitella, attraversò la penisola in cerca di testimonianze musicali.
Le sue registrazioni - che non si limitano al patrimonio italiano - sono celeberrime, fanno ormai parte dei patrimonio dell'umanità e sono state tra l'altro usate nella musica pop (vedi per esempio Moby, Play).
Un'ampia selezione di registrazioni può essere ascoltata qui.

Quello che non sapevo è che Lomax fosse anche fotografo. Il libro presenta una serie di splendide foto in bianco e nero scattate in molti paesi italiani che documentano in modo commovente le persone che popolavano l'Italia rurale degli anni Cinquanta.

Osservando queste foto mi sono venute in mente le immagini della Tunisia, dell'Egitto e della Libia di questi giorni di ribellione. Uomini e donne civili, attanagliati da una miseria atavica, vestiti di poveri vestiti, ma armati di grande dignità.
Scrive Lomax che gli italiani del mondo contadino di quegli anni sono uomini piegati dal lavoro duro, che solo nei giorni festa possono permettersi un bicchiere di vino, rarissimamente un piatto di carne. Un paese dove le donne, coperte da veli neri, hanno la proibizione di uscire da sole o incontrare altri uomini. O dove gli stili canori, soprattutto quelli del Sud, hanno melismi che davvero si confondono con quelli della musica araba.

Guarda Guarda.
Ma quello che descrive Lomax negli anni cinquanta è un paese islamico del Nord Africa o la cattolicissima penisola italiana?

Povera Italia, così immemore della sua condizione di soli cinquanta anni fa.

10 febbraio 2011

La protesta del libro scintillante

In questi giorni prendo per buona una frase che risuona intorno a me, dicono1 pronunciata da Don Milani (anche se a dire il vero non ho trovato da alcuna parte conferma che sia stata veramente da lui pronunciata): “A cosa sarà servito avere le mani pulite, se le avremo tenute in tasca”.

Per quanto mi è possibile, sto cercando di partecipare civilmente e fattivamente a ciò che intorno si muove, perché quello che vedo accadere alle istituzioni mi piace sempre meno. Non che prima mi piacesse (anzi), ma in questi giorni ogni volta che leggo il giornale strabuzzo gli occhi (e non davvero per moralismo).
Di fronte a tutto ciò, semplicemente, come diceva la mia vecchia professoressa di filosofia del liceo, mi prendo il diritto di indignarmi. E di conseguenza preferisco indignarmi facendo qualcosa.

Ma al di là di ciò che faccio personalmente, preferisco parlare di Flash Book.


I ragazzi, universitari e liceali, si siedono per terra, in un luogo affollato durante il Sabato pomeriggio dello shopping. Piazza Duomo davanti alla Rinascente, Piazza Cordusio.
In silenzio, ognuno di loro legge un libro. Una lettura solitaria, fatta in mezzo a tanti altri, in mezzo ad altre letture solitarie.
Ognuno di loro protesta silenziosamente, leggendo. Non protesta per un unico motivo condiviso, ma per il proprio motivo.
Per affermare l'importanza della lettura, per controbattere al dilagare dell'ignoranza di chi non è capace di sostenere lo sviluppo dell'educazione.

E non è corretto dare a tutti costi un'intepretazione a questa “protesta”, perché
al centro sta il silenzio e il potere della lettura, offerto in maniera discreta ad una società che di solito urla.

Il passante passa, ironizza, chiede, si stupisce, alza le spalle, capisce, non capisce, brontola, sorride.


Una protesta apartitica e creativa che esprime un bel contrasto con l'impazzare violento che caratterizza la nostra vita pubblica. Violenza così riflessa nella vita quotidiana della Milano di questi giorni.

Vado a curiosare. Perché lì c'è mio figlio.
Colpito ancora dalla sua volontà di partecipare, di socializzare in maniera creativa e costruttiva. Orgoglioso di sentirlo così diverso da me nel suo essere estroverso e partecipativo.

1) Roberto Saviano, Intervento alla manifestazione di Libertà e Giustizia, Palasharp, Milano, 5 Febbraio 2011.

04 febbraio 2011

Gramsci e la black music

In una delle Lettere dal Carcere, a proposito del rischio – paventato da qualche “povero evangelista convinto” - che il buddismo diventi in Europa una forma di idolatria, Gramsci compie una piroetta logica e con una certa ironia commenta così:

Da questo punto di vista, se un pericolo c'è, è costituito piuttosto dalla musica e dalla danza importata in Europa dai negri. Questa musica ha veramente conquistato tutto uno strato della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo. Ora è impossibile immaginare che la ripetizione continuata dei gesti fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che l'avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato degli jazz-bands, rimangano senza risultati ideologici; a) si tratta di un fenomeno enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di persone; specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano tracce profonde e durature; c) si tratta di fenomeni musicali, cioè di manifestazioni che esprimono nel linguaggio più univerale oggi esistente, nel linguaggio che più rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una cività non solo estranea alla nostra, ma certamente meno complessa di quella asiatica, primitiva e elementare, cioè facilmente assimiliabile e generalizzabile dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico. (...)” (Lettera a Tania, 27 Febbraio 1928)

In queste poche righe – che vanno ovviamente relativizzate ad un'epoca in cui la parola “negro” non sollevava obiezioni politically correct - Gramsci ha una intuizione quasi profetica (siamo nel 1928) nell'evidenziare l'aspetto di fascinazione fisica e psicologica posseduto dalla "musica nera", che era allora il jazz di Sidney Bechet e di Louis Armostrong (ma che sarebbe poi diventato soul, rock'n'roll, rock, punk, fino all'hip hop di oggi). E nel mettere in evidenza il potere che questa musica mostrava nel conquistare i cuori e le menti delle giovani generazioni europee.


Non viene det
to esplicitamente, ma parlando di potere “ideologico” della musica nera, Gramsci sembra già intuire – qualche decennio prima di Pasolini – quanto questo fascino interesserà l'industria dell'entertainment - manifestazione tra le tante del potere del consumismo - la quale utilizzerà il vitalismo della musica popolare per trasformarla in un oggetto di consumo.

Che è poi argomento che riguarda l'aspetto ambivalente del rock – nato come forma musicale di ribellone, permeata di grande creatività – poi presto (subito?) trasformato in prodotto di consumo, per lo più consolante e rassicurante.

06 luglio 2010

Paura di tutti

In alta rotazione nella mia playlist mensile, una di quelle canzoni che non capisci bene quanto dipingano una visione del mondo che rifiuti e quanto invece descrivano la realtà che non sai o puoi sfuggire.

Afraid of everyone, The National (da High Violet, 2010)

Venom radio and venom television
I'm afraid of everyone, I'm afraid of everyone
They're the young blue bodies
With the old red bodies
I'm afraid of everyone, I'm afraid of everyone
With my kid on my shoulders I try

Not to hurt anybody I like
But I don't have the drugs to sort
I don't have the drugs to sort it out
Sort it out

I'll defend my family with my orange umbrella
I'm afraid of everyone, I'm afraid of everyone
With my shining blue star
Spangling tennis shoes on
I'm afraid of everyone, I'm afraid of everyone

With my kid on my shoulders I try
Not to hurt anybody I like

But I don't have the drugs to sort
I don't have the drugs to sort it out
Sort it out
I don't have the drugs to sort it out
Sort it out

Your voice is swallowing my soul, soul, soul.

30 giugno 2010

Velo blu

Un amico mi chiede un estratto dal libro di Pierre Boulez, Punti di riferimento. Einaudi, 1984.

Salgo sulla scaletta per recuperarlo.
Tolgo il dito di polvere.
Dal libro casca la cartolina di un volto coperto da un velo blu.
Fernand Khnopff, der blau Schleier, il velo blu (1909).
Ricordo del dono di una persona sensibile, che mi chiedo ogni tanto dove sia ora.

La mia scrittura piccola e precisa, a matita, fa capolino all'inizio dei paragrafi per indicare un'evidenza o un'emergenza.
Il tempo in cui potevo e volevo essere attento e dedicato al dettaglio, il tempo (perduto) in cui scrivevo spesso a mano (e la mia scrittura era quasi comprensibile a me e agli altri). Il tempo del sentimento travolgente, il tempo per parlare e per dedicare molto tempo ai libri, il tempo delle massime curiosità e delle grandi incertezze.

E' normale avere nostalgia di un tempo così lontano. Una delle fasi del mosaico.

24 giugno 2010

Swallowed

Due serate intere dico due totalmente consumate, divorate, ingioate nel tentativo (inutile) di:

1. Installare per il figlio "pacifista" Modern Warfare 2 su Windows 7 Home Edition senza che tutto vada in crash ogni dieci minuti.
2. Dimostrare a Microsoft che la copia di Windows 7 Home Edition che ho acquistato insieme al PC è originale e non contraffatta come invece mi viene continuamente ricordato (quasi fossi un criminale) da un odiosa finestra che disturba il lavoro (e non ditemi che devo passare ad Apple, lo so).
3. Tentare di fare una ricarica sul cellulare di mio figlio dal sito Vodafone convincendo sia il sito, sia una signorina petulante del 190 che non è vero che la mia carta di credito è scaduta.

Il nostro tempo barbaramente consumato dalla tecnologia che ci siamo cercati.

17 giugno 2010

Un borghese piccolo piccolo. Sempre più piccolo. Anzi sparito



Alla cena di fine anno della classe del figlio piccolo assisto dal vivo al racconto della lenta decadenza della media borghesia italiana.
I piccoli imprenditori della Milano Anni Ottanta e Novanta - pubblicità, agenzie di comunicazioni, servizi alle aziende - annaspano nella mancanza di lavoro, di commesse e per la prima volta - dopo anni in cui hanno potuto permettersi molto e spesso di più (e a molti non faranno pena) - vedono ridurre le capacità di spesa fino a cominciare a porsi l'interrogativo sul futuro, loro e dei loro figli.
Non è catastrofe come per chi perde il posto di lavoro, ma questo solo grazie a quanto è stato messo da parte negli anni migliori da loro stessi o dai loro padri.

Gli anni scorsi era un bisbiglio. Un imprenditore non mostra mai di essere in difficoltà.
Oggi questo sussurro è una preso d'atto di fronte a ormai troppi anni duri. E se ne parla apertamente, nel mal comune, senza gaudio.
Non so se saranno loro i primi a scendere in piazza, o se più probabilmente - forzati al cambiamento - saranno gli artefici di un rinnovamento dell'impreditoria italiana, avendo rappresentato per anni una parte vitale e creativa della società Italiana.

Noi altri, non imprenditori (impiegati, medici ospedalieri, insegnanti, funzionari del pubblico o, come me, del privato) ascoltiamo silenziosi, accarezzando nel profondo del nostro cuore il nostro lavoro, sentendoci tutti in verità come appesi ad un filo.
Il filo di quella famosa e tanto decantata "filiera" dei trattati di marketing, la cui trama appare più sottile ogni giorno che passa.
Alcune parole magiche illuminano gli sguardi di questi imprenditori. Energia rinnovabile, fotovoltaico.
Conciliare il profitto con la tutela del luogo in cui viviamo?

Provare a scrollarsi le paure e immaginare che il cambiamento porti qualcosa di buono.