Non ne sono mai stato un fan.
Un bambino di nove anni davanti ad un grande schermo in bianco e nero guarda e ascolta una canzone cantata da un omino piccolo e buffo. La mamma rassicurante commenta con il papà di quanto sia peloso, forse anche un po’ poco pulito. Ma la favola di un grosso signore che beve vino e viene chiamato Gesù Bambino la fa preferire a tutte le altre canzoni di quel Festival, immagine di un cristo poco conciliabile con le storielle del catechismo da Apostolato Liturgico che il bambino ascolta in quegli anni.
Oppure quella del gigante e della bambina, altra favola di un orco forse buono che lascia un sapore misterioso e obliquo nell’immaginario del ragazzino, facendo intravedere pregiudizio e ingiustizia.
Oppure Fumetto, sigla finale di Gli Eroi di Cartone, che ancora oggi - anche se solo per un istante - mi fa rivivere la gioia che provavo nel vedere quel programma televisivo, atteso tutta la settimana.
Dieci anni dopo, per le strade di Genova si respira aria grigia, terrea. I pantaloni a zampa di elefante e i Jeans Jesus raccontano della voglie frustrate e goffe di essere liberi.
Quale allegria, in effetti? La musica andina degli Inti-Illimani si ripeteva angosciosa da tre anni ormai e le uniche cose reali potevano essere quelle di uno stomp più disperato che erotico. Perché Genova è diversa dalla grassa Bologna e i bambini nei vicoli ti hanno sempre fatto credere che possono anche perdersi.
Nella stanzetta dell’adolescente risuonano Radio Genova Sound prima, Radio Spazio Libero poi e grazie ad esse le storie di Carmen Colon, forse la bambina del gigante di prima questa volta trascinata sull’asfalto urbano e violento degli Anni Settanta, senza giganti a proteggerla.
Note di speranza per un anno che verrà e che si spera migliore di quegli anni di piombo cui il ragazzo sfugge solo grazie a qualche anno di punk di differenza e per mileau familiare.
Note di un mare profondo di cui però non aveva mai ascoltato e forse capito abbastanza bene il testo, così trasportato da ritmica e melodia.
Nella solitudine dei pomeriggi post maturità dei primi Anni Ottanta, di fronte al fiorire dei primi videoclip e e delle TV private, sorridere un po’ snob alla vista del balletto del lupo. La ragazza più magra carina e la ragazza ciccia buffa, che però canta niente male. Per fortuna troppo distratti dal turbine del rock new wave inglese dove pulsa il nuovo.
Aula Magna dell’Università di Bologna. Il rettore consegna una delle prime lauree honoris causa al piccolo cantautore, molti anni prima che quelli milanesi di Stronzologia assegnassero lo stesso titolo ai Rossi vaschi e valentini. Già allora il giovane studente occhialuto pensa sia una bella cagata, ma non può fare a meno di sorridere per l’acutezza delle parole dell’uomo barbuto.
Altri dieci anni dopo, Via Massimo d’Azeglio, in visita di lavoro, non incontrarlo per sfortuna, ma ritrovarsi nelle sue stanze piene di opere d’arte contemporanea e comprendere di essere di fronte ad una grande intelligenza, debordante curiosità, umanità e voglia di vivere.
Alla Stazione Centrale di Roma partecipare alla presentazione del non troppo fortunato Henna.
Caruso mi impone di imbattermi nel suo nome quasi quotidianamente, tanto la canzone è famosa in tutto il mondo e domina la classifica degli incassi.
Stella di Mare, cantata da Mia Martini.
Oggi è partita la parata delle “preferite” ed è giusto così.
Dalle mie parti si guardano le classifiche di iTunes, e va bene così.
In Piazza Grande oggi si ricorda, è ok.
Non sono mai stato un fan di Lucio Dalla.
Ripasso sull’iPod le canzoni della sua playlist e mi rendo conto che ha segnato molti momenti della mia vita e che ieri a pranzo, tutti, anche i più accesi metallari, dicevano la stessa cosa.
1 commento:
Anche io non sono stato un suo fan. Ma certo ora che se ne è andato viene quasi naturale farne un bilancio – si fa per dire - e ci si accorge che sicuramente ha lasciato un bel segno nella canzone italiana e non solo strettamente quella. Un saluto da Roma. G
Posta un commento