Ma mio padre è un ragazzo tranquillo
la mattina legge molti giornali
è convinto di avere delle idee
e suo figlio è una nave pirata
e suo figlio è una nave pirata.
...
Ma il bambino nel cortile si è fermato
si è stancato di seguire gli aquiloni
si è seduto tra i ricordi vicini i rumori lontani
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani.
Le storie di ieri (F. De Gregori) in Volume Ottavo di Fabrizio De André (1975)
Scritta da Francesco De Gregori, ma (magistralmente) interpretata da Fabrizio De André nel Volume Ottavo (e poi inserita anche da De Gregori nel suo successivo Rimmel) è una canzone che parla di un padre degli Anni Settanta ancora immerso nell'ideologia fascista e di un figlio che lentamente si dirige verso un pensiero (forse un'azione?) di estrema sinistra.
Ma soprattutto - ed è ciò che mi interessa in questo contesto - parla dell'eterna dialettica tra padre e figlio, della (inevitabile?) presa di distanza dei figli nei confronti delle idee dei padri.
"Guardare il muro e guardarsi le mani" è un verso che così bene descrive il futuro che ogni figlio ha nelle propria mani e della spinta bellissima e irrefrenabile ad usare queste mani, a fare; per costruire da sé il proprio futuro di uomo, attraversando un'inevitabile età dei pirati.
Io guardo indietro, a mio padre; guardo davanti, a mio figlio grande. E in entrambi i casi mi ritrovo in questi versi. Anzi, mi ci ritrovo ora proprio in mezzo.
1 commento:
Ti ci ritrovi in mezzo, e tu cosa ti guardi? Il problema è questo: cosa siamo/facciamo di noi stessi, oltre a essere padri? Cosa rimane, cosa possiamo essere? A volte mi sembra di aver perso una identità scambiandola con un ruolo. Tu no eh? A venerdì!
Posta un commento