10 febbraio 2011

La protesta del libro scintillante

In questi giorni prendo per buona una frase che risuona intorno a me, dicono1 pronunciata da Don Milani (anche se a dire il vero non ho trovato da alcuna parte conferma che sia stata veramente da lui pronunciata): “A cosa sarà servito avere le mani pulite, se le avremo tenute in tasca”.

Per quanto mi è possibile, sto cercando di partecipare civilmente e fattivamente a ciò che intorno si muove, perché quello che vedo accadere alle istituzioni mi piace sempre meno. Non che prima mi piacesse (anzi), ma in questi giorni ogni volta che leggo il giornale strabuzzo gli occhi (e non davvero per moralismo).
Di fronte a tutto ciò, semplicemente, come diceva la mia vecchia professoressa di filosofia del liceo, mi prendo il diritto di indignarmi. E di conseguenza preferisco indignarmi facendo qualcosa.

Ma al di là di ciò che faccio personalmente, preferisco parlare di Flash Book.


I ragazzi, universitari e liceali, si siedono per terra, in un luogo affollato durante il Sabato pomeriggio dello shopping. Piazza Duomo davanti alla Rinascente, Piazza Cordusio.
In silenzio, ognuno di loro legge un libro. Una lettura solitaria, fatta in mezzo a tanti altri, in mezzo ad altre letture solitarie.
Ognuno di loro protesta silenziosamente, leggendo. Non protesta per un unico motivo condiviso, ma per il proprio motivo.
Per affermare l'importanza della lettura, per controbattere al dilagare dell'ignoranza di chi non è capace di sostenere lo sviluppo dell'educazione.

E non è corretto dare a tutti costi un'intepretazione a questa “protesta”, perché
al centro sta il silenzio e il potere della lettura, offerto in maniera discreta ad una società che di solito urla.

Il passante passa, ironizza, chiede, si stupisce, alza le spalle, capisce, non capisce, brontola, sorride.


Una protesta apartitica e creativa che esprime un bel contrasto con l'impazzare violento che caratterizza la nostra vita pubblica. Violenza così riflessa nella vita quotidiana della Milano di questi giorni.

Vado a curiosare. Perché lì c'è mio figlio.
Colpito ancora dalla sua volontà di partecipare, di socializzare in maniera creativa e costruttiva. Orgoglioso di sentirlo così diverso da me nel suo essere estroverso e partecipativo.

1) Roberto Saviano, Intervento alla manifestazione di Libertà e Giustizia, Palasharp, Milano, 5 Febbraio 2011.

04 febbraio 2011

Gramsci e la black music

In una delle Lettere dal Carcere, a proposito del rischio – paventato da qualche “povero evangelista convinto” - che il buddismo diventi in Europa una forma di idolatria, Gramsci compie una piroetta logica e con una certa ironia commenta così:

Da questo punto di vista, se un pericolo c'è, è costituito piuttosto dalla musica e dalla danza importata in Europa dai negri. Questa musica ha veramente conquistato tutto uno strato della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo. Ora è impossibile immaginare che la ripetizione continuata dei gesti fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che l'avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato degli jazz-bands, rimangano senza risultati ideologici; a) si tratta di un fenomeno enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di persone; specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano tracce profonde e durature; c) si tratta di fenomeni musicali, cioè di manifestazioni che esprimono nel linguaggio più univerale oggi esistente, nel linguaggio che più rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una cività non solo estranea alla nostra, ma certamente meno complessa di quella asiatica, primitiva e elementare, cioè facilmente assimiliabile e generalizzabile dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico. (...)” (Lettera a Tania, 27 Febbraio 1928)

In queste poche righe – che vanno ovviamente relativizzate ad un'epoca in cui la parola “negro” non sollevava obiezioni politically correct - Gramsci ha una intuizione quasi profetica (siamo nel 1928) nell'evidenziare l'aspetto di fascinazione fisica e psicologica posseduto dalla "musica nera", che era allora il jazz di Sidney Bechet e di Louis Armostrong (ma che sarebbe poi diventato soul, rock'n'roll, rock, punk, fino all'hip hop di oggi). E nel mettere in evidenza il potere che questa musica mostrava nel conquistare i cuori e le menti delle giovani generazioni europee.


Non viene det
to esplicitamente, ma parlando di potere “ideologico” della musica nera, Gramsci sembra già intuire – qualche decennio prima di Pasolini – quanto questo fascino interesserà l'industria dell'entertainment - manifestazione tra le tante del potere del consumismo - la quale utilizzerà il vitalismo della musica popolare per trasformarla in un oggetto di consumo.

Che è poi argomento che riguarda l'aspetto ambivalente del rock – nato come forma musicale di ribellone, permeata di grande creatività – poi presto (subito?) trasformato in prodotto di consumo, per lo più consolante e rassicurante.