22 luglio 2007

Il pensiero è triste?


Linko volentieri questo post di Franco, il mio amico-consigliere-libraio di assoluta fiducia, che mi ha suggerito il libro di George Steiner “Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero” (Garzanti, 2007).

Il libro è stimolante e passa in rassegna i motivi per cui il nostro pensiero non può che essere ragionevolmente “triste”.

Saperlo, può aiutare – forse - a farsene una ragione.

Da parte mia, noto che l’autore – di certo volontariamente – non sfiora la dimensione opposta alla tristezza, che pure è uno stato assolutamente fondamentale e trainante per l’uomo: la pur fuggente felicità e la di essa ricerca.



La possibilità che io in questo momento sia ragionevolmente "felice" - con la vista del verde della campagna piemontese dall’alto della collina, alcune ore da poter dedicare a me stesso e alla scrittura, la coscienza di aver speso una settimana lavorativa utile - non è neanche presa in considerazione dall’autore.

Egli sa bene che il mio realismo critico - come un ronzio di sottofondo - mi fa volare basso.

Mio padre lavorava in campo neurologico e sosteneva che i veri depressi sono i soli che vedono il mondo come realmente è, ed è questo che li spinge al suicidio.
Siamo noi uomini “sani” che per un miracoloso meccanismo di enzimi e sinapsi cerebrali produciamo le motivazioni che ci mandano avanti ogni giorno e che rendono l’essere umano così ambizioso e vitale rispetto alle altre (molto più pigre e concrete) specie animali.
Sono in pratica i meccanismi chimici del cervello a dare la carica. Capaci di spingerci avanti, facendoci balenare la prospettiva delle gratificazioni e “felicità” che continuamente cerchiamo a breve o lungo termine.
Non a caso i veri depressi si curano stimolando farmacologicamente i meccanismi chimici cerebrali, per riattivare la “voglia di vivere”.

La felicità di fronte a questo meraviglioso paesaggio verde piemontese sarebbe dunque un’illusione perché a voler vedere la cruda realtà tutto questo bel verde appassirà e questi muri a secco si sbricioleranno, questo PC finirà smembrato in qualche discarica in Pakistan, così come la mosca qui accanto presto perirà. Morirà per riprodursi è vero, ma per morire ancora migliaia di volte attraverso la decomposizione per i viventi e il deterioramento per la materia.
E
tutta questa fatica finirà (almeno per la Terra) con l’esplosione di qualche supernova chissà quando.

La mia felicità sarebbe un’illusione perché nel pullulare di sentimenti che si agita laggiù nella verde pianura piemontese tra migliaia di persone ci sarà forse il fuggevole amore degli amanti ed il sorriso disinteressato di un bambino, ma c’è soprattutto la corsa al possesso, l’invidia, il rancore, la povertà, l’idiozia, la malattia, la solitudine, la corsa spietata per la sopravvivenza. E basta spostarsi di 1500 km per assistere a ben più crudeli lotte per la sopravvivenza.

Di fronte a tutto ciò siamo, per fortuna, uomini. Ed esserlo significa per me, credo, trovare l’equilibrio tra l’ineluttabilità di come va il mondo ed il raggiungimento dei “piccoli” ma onorevoli obiettivi che ci siamo dati, sfruttando in modo intelligente il naturale entusiasmo forse illusorio che è stato dato all’umanità.

E questo non è un pensiero triste.


1 commento:

domesticamaria ha detto...

ancora una volta, dopo aver letto il tuo bel post meditativo e quieto, ancorchè lucidissimo e quasi istologico nel sezionare il pensiero, credo di poter dire che è l'arte coltivata dentro di noi a salvarci dell'entropia, e che bisogna imparare un poco di arte del vivere per saper vivere.