Quattro giorni a Madrid bastano per immaginare un possibile diverso modo di vivere, dove la voglia di comunicare e dialogare sembrano più diffuse di quanto avvenga da noi.
Illusione di chi annusa un frammento di vita urbana filtrato dalle guide turistiche?
Può darsi.
Facile passare per superficiali avendo poco tempo a disposizione (ma che c'è di male nell'approfitare della superficialità offerta oggi dai voli low cost, che mi permettono di visitare una capitale europea con pochi euro?).
Sta poi al singolo viaggiatore relativizzare, ricordando che una cosa è la routine quotidiana del proprio paese, capace spesso di tramortire l'entusiasmo e la poesia del vivere, altra cosa è gustare l'istantanea di una capitale pulsante di vita e di luoghi, dove le persone amano radunarsi per parlar fino a tarda notte.
Di certo Madrid è una città che si anima anche dopo le sette di sera e non si assopisce e rinchiude in se stessa come sembra invece voler fare la Milano di oggi.
A Madrid - a parte una serie di luoghi da vedere che non ho resistito ad elencare alla fine di questo post - ho scoperto due highlights che non conoscevo e che da soli valgono, secondo me, il viaggio.
Sono opere di artisti, guarda caso, opposti tra loro.
Luce e tenebra, vita e morte, successo sociale e solitudine profonda.
Joaquin Sorolla e Francisco de Goya.
Joaquin Sorolla o della luce.
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Eppure Sorolla, pur viaggiando spesso in città europee ed entrando in contatto con artisti delle avanguardie di quegli anni, continuò sempre a dipingere le sue spiagge, i figli, la moglie dall'aria dolce e rassicurante. Pur non mancando a tratti di cogliere aspetti sociali (i lavoratori delle campagne e dei villaggi spagnoli, gli orfani delle colonie al mare), complice il consenso della borghesia spagnola, Sorolla raggiunge la fama in Spagna unendo una talento e una tecnica pittorica eccezionale ad una volontà molto semplice: quella di rappresentare la bellezza intorno a sé.
C'è qualche cosa di incredibilmente alto nella sua capacità di cogliere la luce accecante del mare spagnolo, le ombre nette del mezzogiorno, le pieghe dei vestiti luminosi di donne di inizio secolo. La stessa luce che si coglie nel gardino che ospita il museo a lui dedicato e che fu la sua abitazione. Un giardino fatato, tra statue, zampilli di fontane, siepi di bosso e fiori, che, seppur oggi soffocato tra alcuni palazzi di un quartiere di Madrid, rimane un piccolo luogo miracoloso.
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Francisco de Goya o dell'abisso.
Avete in mente i video di Chris Cunningham con la musica di Aphex Twin?
Per me rappresentano le paure e i terrori più ancestrali. Nulla di troppo volento, ma un po' come immergere un mestolo dentro al torbido dei nostri incubi e tirarne fuori il peggio: esseri deformi, giovani ghignanti, paesaggi post-atomici, angeliche figure femminili generate da una costola del "diavolo" in persona.
C'entra questo con Madrid?
Certo non mi aspettavo quello che ho visto nella sala più a Sud del Museo del Prado.
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L'uomo che aveva dipinto l'ammiccante Maja Desnuda o che aveva denunciato con il coraggio e l'efficacia della sua pittura la violenza dello stato totalitario che pure serviva, dipinse questi quadri alla fine della sua vita presso la casa denominata la Quinta del Sordo, quando, lui stesso sordo, solo e abbandonato da tutti, pensò che lì avrebbe vissuto i suoi ultimi giorni.
Sono dipinti che rappresentano il terrore per la vicinanza della pazzia e della morte, uniti però anche alla pietà verso la condizione di esseri viventi di cui si cerca di descrivere il destino apparentemente insensato.
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Solo Francis Bacon e gli Espressionisti si avvicinano a tanto nel Ventesimo Secolo figurativo.
Non c'è molto da dire su questi dipinti.
Guardandole prende un senso di vertigine, disagio, sgomento: uomini dal viso distorto da un ghigno simili a visioni post-acido (proprio come nei video di Cunningham/Aphex Twin), divinità nefaste che sbanano i loro figli, uomini che lotteranno tra loro fino alla morte e senza apparente motivo, cani che affogano nel fango sperduti come un puntino su una tela, capre diaboliche che siedono a convitto tra esseri tremanti.
Un compendio dei terrori dell'uomo, che così spesso verranno utilizzate da altri nel corso di tutto il Novecento, fino ad oggi, "secolarizzati" nelle forme espressive del cinema, della letteratura, del videogioco.
Per quanto mi riguarda, ho avuto bisogno della luce di Sorolla per risollevarmi dall'emozione degli abissi di Goya.
Ma cos'altro c'è da non perdere a Madrid?
- Passeggiare per il centro a naso all'aria e con la mappa scoprendo i vari Barrios (a qualsiasi ora del giorno e della notte).
- Andar per tapas (ogni giorno tra le le 19 e le 22, ma anche prima. C'è sempre un valido momento per mangiare a Madrid).
- Il Museo del Prado (una giornata intera, se basta). Immensa la pittura nera di Goya e l'arte sacra di José de Ribera.
- Il Museo di arte contemporanea Reina Sofia (una giornata), passando dal centro culturale CaixaForum (un piccolo Beaubourg) e della stazione ferroviaria di Atocha (un giardino botanico circondato da passeggeri in transito).
- Il nuovo modenissimo quartiere a nord di Madrid (2 ore, da raggiungere in metro, la mia foto ad inizio post) con i suoi grattacieli mozzafiato
- Il mercato di San Miguel, mercato coperto dove non si vende ma si degusta qualsiasi tipo di delizia, dallo stocafisso alla trippa, dal churros al miglior vino di Spagna. Il tutto in piedi, tra gli amici.