24 gennaio 2009

18 gennaio 2009

Mode e adolescenti

Parlando a tavola a proposito della velocità e varietà con cui si avvicendano le mode:

Il piccolo, ridendo: "Eh, pensate quando sarà di moda essere degli sfigati!"
Il grande, rapido: "Allora finalmente sarai alla moda tu."

What (fucking) else


Diciamocelo.

Il vincitore commerciale della passate feste non è la Nintendo Wii, come forse ci si sarebbe potuto aspettare visitando un qualsiasi centro commerciale nei giorni prenatalizi (l’ho comprata per i figli e ora mi ci sto felicemente consumando occhi e muscoli) ma, complice George Clooney, la famigerata macchinetta per il caffè Nespresso.


Ne uccide più l'icona di Hollywood che la spada.


Passando nei giorni prima di Capodanno per il centro di Nizza si osservava una lunga coda che usciva da un negozio dalla apparenza più simile ad una gioielleria che a uno spaccio di caffè, a partire dall’insegna a caratteri dorati su fondo nero.

Incurosito da tale affollarsi di signore in pelliccia, distinti signori in paltò, intere famiglie con passeggini e austeri nonnetti cerco di capire che nesso ciò possa avere con il caffè e il mio istinto cinico-sociologico mi dice di introdurmi nel locale.

Due stewards mi chiedono subito se voglio un caffè, ma l’ho appena preso e devo sedare il mio istinto genovese. E poi dà fastidio quando in un negozio ti assalgono subito all’arma bianca.


All’interno, in esposizione, almeno dieci modelli dall’aspetto tondo e ciccio, come delle Bugatti dai colori eleganti e seriosi (design Pininfarina?) o come la nuova 500 (solo che in questo caso di veri e non metaforici macinini si tratta).

I signori di prima si accalcano per toccare manopole, accarezzare rotondità e luccichii di acciaio anodizzato. Prezzo, da 149 euro in su, fino a 1500.


T’ho venduto l’hardware, mo’ beccati er software


Lo spettacolo notevole è però il banco delle cialde (pardon "capsule", pardon cru).

Qui i marpioni del marketing hanno inventato l’ennesimo gancio redditizio. Facendo leva sulla bevanda più amata dagli Italiani, sulla loro eterna rincorsa al “voglio ma non posso”, sul loro ipotetico "innato" senso estetico (?), sul loro luccicante amore bovino per la Ferrari “che vince sempre”, hanno ideato una serie di cialde al cui solo sguardo anche un manovale della camorra si sente un raffinato stilista, confezionate con una cura e “eleganza” da farli sembrare serie numerate di gioielli, adatti a posare accanto al nuovo Blackberry cromato e alla sinuosa depuratrice che rende più potabile l’acqua già potabile.


Gigantografie alle pareti immartalano le cialde quasi fossero trousse di Lancome. Tinte metallizzate che richiamano ai colori della auto più prestigiose per rappresentare essenze rare come il Sandona colombiano, il Goroka di Papua o lo Yunnan cinese, di cui certo sentivamo la mancanza.

Peccato che abbiano nomi imprbabili come "Livanto", "Volluto", "Cosi" (senza accento) o "Finezzo" quasi che sian state battezzate da un commesso viaggiatore lituano tornato da un week-end a Rimini.


Avvenenti commesse si prodigano a far assaggiare o annusare le essenze più originali. Coppie litigano su quale modello starà meglio in esposizione in soggiorno e quale color di cru meglio si addice alla tappezzeria.

Perché il macinino e il portacialde sono così belli che devono stare in salotto accanto al plasma 60 pollici.


La sublime esperienza


E' quanto ti vendono.

Tanto di cappello ai signori del marketing e ai loro compari pubblicitari senzaddio.


Quando cominciò a diffondersi il "telefonino", da triste intellettualoide di sinistra gridai alla perdita comunicativa, alla definitiva fine della dialettica tra esseri umani che si guardano negli occhi.

Non mi sbagliavo nella sostanza, ma nella forma eccome se mi sbagliavo. Ora in famiglia abbiamo 5 cellullari e se non ce l’hai sei un genitore irresponsabile, oltre che inibito al lavoro.


Ora ho imparato e so per certo che Nespresso è il prossimo elettrodomestico che invaderà le case degli europei. Anche francesi e inglesi abbandoneranno le brodaglie nere e si convertiranno al succedaneo modaiolo del caffè espresso.

E fra cinque anni non averla sarà come non avere il frigo, che agli inzi del secolo veniva messo in salotto come oggetto di prestigio. Roba da sfigati.


E prima che il cielo ci caschi definitivamente sulla testa - saggio Asterix - non voglio passare più per sfigato!


"La nostra visione è (...) diventare l’icona del Caffè Perfetto a livello mondiale"
Dal sito istituzionale della Nestlé Nespresso S.A.

10 gennaio 2009

La passione quasi tragica dell'ascolto

Scusassero la prolungata assenza, ma l’Adolescenza consuma il tempo e l'esistenza del genitore.


Da molto tempo l’idea non espressa mi gira nella testa. Non trovavo i termini per esporla compiutamente.

A dimostrazione che le cose basta cercarle alla fonte, ecco venirmi in aiuto niente meno che Aristotele che nella Poetica (6 p.1449 b 24-28) dà la prima definizione giunta a noi della Tragedia greca (quella di Eschilo, Sofocle ed Euripide per intenderci)


La Tragedia dunque è rappresentazione (mimesi) di un’azione seria e compiuta in se stessa, avente una determinata ampiezza, con stile adorno, appropriato al genere di ciascuna della parti; di persone agenti e non in forma narrativa; e che, attraverso pietà e terrore, consegue l’effetto di liberare da siffatte passioni.


Per inciso, prima della Tragedia greca, nulla del genere era mai apparso nella cultura occidentale. Ancora oggi è un mistero come la cultura greca abbia potuto far nascere dalla poesi a dell’epica (forme puramente poetiche e narrative) una struttura complessa e multidisciplinare come il teatro, che prevedede l’integrazione di poeti, attori, registi, cori, musiche, scenografie, attrezzi scenici. Alcuni sostengono che solo una civilità libera e democratica come l’Atene del 500 AC poteve far nascere al suo interno un meccanismo artistico così perfetto e nobilmente “politico”, così omnicomprensivo delle passioni umane. Mai più ripetuto e da allora solo imitato.


Aristotele nalla sua definizione sostiene quindi il compito della tragedia teatrale è proprio quella di rappresentare le passione e facendo ciò liberare da queste passioni noi poveri mortali che assistiamo alla rappresentazione.


Non un semplice “mal comune mezzo gaudio”, ma un “digerire” la proprie passioni, angosce e dolori attraverso la rappresentazione dei dolori degli altri e dell'estro poetico con cui l’artista è riuscito a rappresentarle. Gli Ateniesi in pratica si psicoanalizzavano in gruppo e all’aperto, non sul lettino dello psicanalista.


Quello che a me viene pensare è che le forme di arte che oggi noi apprezziamo e viviamo, quelle in particolare orientate all’aspetto contradditorio e insondabile della vita, siano tutte figlie del teatro drammatico greco e della “pietà e orrore” che esse manifestano e risvegliano in noi.


Quindi, semplificando grandemente, me ne rendo conto, ecco spiegarsi il motivo per cui amiamo un certo tipo di musica in cui si sprofonda nelle profondità del sentimento umano. Un testo di Leonard Cohen o di De André, un sound inquietante come quello dei Portished o dei Massive Attack, la cupezza introversa dei Joy Division, i Winterreise di Schubert, il Finale del Tristano e Isotta di Wagner, la rabbia impotente dei Germs, il wanna be your dog di Iggy Pop & The Stooges, l’atmosfera rituale e liberatoria del concerto rock.

Cosa può portare ad amare un brano/video come Liar della Rollins Band o Song to Say Goodbye dei Placebo dove viene espresso il peggio dell’animo umano (la sadica menzogna da una parte e la dipendenza/depressione dall’altra)?


Forse, attraverso questi testi noi ci diciamo “ecco a cosa può giungere l’uomo. Ecco a cosa posso giungere anche io. Ma io non sono poi così e le mie pene sono poca cosa in confronto”.


Questo riguarda credo altre esperienze estetiche: Apocalypse Now di Coppola, Barry Lyndon di Kubrick nele cinema, Francis Bacon nell’arte figurativa, Borges e Buzzati in letteratura, solo per citare i primi che vengono in mente.

Fino a capire anche gli amanti del cinema horror e del metal estremo, che hanno un modo ancora più radicale (sebbene più esplicito) per vivere la catarsi delle proprie paure e violenze.

Fino a forse giustificare (?) anche il masochismo dei fruitori della tv verità dove l’orrore del vicino messo in piazza fa sentre meno sfortunato il diseredato spettatore..

Ad ognuno la catarsi che si sceglie/merita, per evitare di passare dall’estetica ai fatti...


Ignobilmente unendo alto e basso, dopo Aristotole, mi piace citare Lester Bangs, mio amato critico rock britannico, che da qualche parte nel suo Guida ragionevole al frastuono più atroce sosteneva che gran parte di coloro che ascoltano rock sono coloro che in realtà gli eccessi vissuti e narrati dai loro idoli ed interpreti, vigliaccamente, non li vivranno mai.



In pratica, a tutti noi è piaciuto immaginarci degli Iggy Pop, dei Lou Reed, dei Jim Morrison, dei Sid Vicious, dei Ian Curtis, dei Kurt Cobain, delle Amy Winehouse (alcuni, ne sono certo, si commuovono ascoltando l’Otello di Verdi o adorano la personalità di Wagner), ma alla fine abbiamo preferito pasti regolari a pranzo e cena e, quando si può, cappuccino e briosche.


Ma sentirci tanto “rock’n’roll” o ricordare quando pensavamo di esserlo ci aiuta a tirare avanti.


PS

Quanto ho scritto riguarda solo il “lato sensibile” dell’esperienza musicale. Ho qui trascurato altri aspetti quali il gusto quasi fisico di suonare uno strumento, lo studio della pura tecnica strumentale e compositiva, l’aspetto storico-musicale ed anche ovviamente la semplice dimensione ludico o funzionale (il ballo o il semplice ascolto distratto), tutte manifestazioni dell'ascolto degne di altrettanta attenzione in una eventuale analisi della fruizione musicale.

Lontananza






















"Da tempo ho il silenzio come farmaco al danno."
Eschilo, Agamennone

buon anno

"Di una sola cosa i prodi Galli avevano timore. Che il cielo potesse cadergli sulla testa"
(Goscinny-Uderzo, Asterix)

Da piccolo mi faceva molto ridere l'assurda superstizione di Asterix & co.
In questo 2009, mi fa un po' meno ridere.