29 ottobre 2008

Come un chiodo stanco

Lunedì mattina, T. (l'iniziale è di fantasia) alla sua scrivania non c'è.
Capita. Ci si può dimenticare di avvertire l'ufficio del personale.

Alle 16 una telefonata informa che T. è mancato. Improvvisamente, a casa, per un malore, senza motivo, a 59 anni. Moglie, figli.

Nulla di buono. Solo una nube oscura che circonda i colleghi e me. Non ci sono molte parole.
Unico pensiero non negativo, la sensazione di essere fortunati a poter guardare il cielo fuori e di esserci. Pensarlo in silenzio e ripeterlo alle persone intorno, per farsi coraggio e per riempire il silenzio.

Poi la mattina successiva ritrovarsi proiettati nel mondo di una famiglia che non avevi mai avuto modo di conoscere. E notare- senza troppa sorpresa in verità - che per T. il lavoro era una formalità da adempiere, perché cose per lui molto più importanti lo attendevano là fuori. La vita in parrocchia, il coro, la solidarietà, l'impegno all'interno d una comunità cristiana molto unita, tra un gruppo di persone che ora fanno un quadrato di amore intorno alla sua commemorazione e al suo ricordo.
Intorno a te pochi volti conosciuti, ma soprattutto una moltitudine compatta di sconosciuti così simili tra loro, che circondano e difendono la famiglia con un affetto sereno, quasi sorridente nella accettazione di un "Dio l'ha voluto con sé", con parole profonde, sentite e determinate.

Ammirazione e pietas. Ammirazione e pietas ma anche stupefatta invidia per chi ha la fortuna di volere o riuscire a dare una ragione superiore ad un evento così assurdo.
Evento per il quale è evidente che non esiste alcuna ragione metafisica, ma solo il meccanismo di una macchina umana che ha smesso di funzionare, stop.
Come il dente di un ingranaggio del motore di un aereo che va a schiantarsi.
Come un chiodo che decide una notte di staccarsi dal muro e far piombare quadro e cornice a pezzi al suolo.

E' vero che credo in qualche modo agli angeli (sic), ma questo è troppo. E all'inquietudine e alla rabbia per la perdita prematura e senza senso di una persona che da due anni, con la sua calma, condivideva con te per niente calmo i piccoli problemi quotidiani, si aggiunge l'inquietudine e la rabbia per non riuscire a comprendere queste persone, nonostante io ci provi, davvero.

26 ottobre 2008

Here to stay, hey hey
















Per esorcizzare i quadrivi, comprati oggi appositi appigli apparentemente stabili:
- Traffic - John Barleycorn must die (1970)
- Robert Wyatt - Rock Bottom (1974)
- Ray LaMontagne - Gossip in the Grain (2008)

24 ottobre 2008

Quadrivium

Provare a conciliare in un unico tutto armonico le direzioni contrastanti della propria esistenza.

Come se lavoro, famiglia, passione e creatività volessero per una volta amalgamarsi tra loro per fondare un unico uomo armonico; e non tentare di fuggire ancora per la tangente, come solo un lupo un pò saggio e selvatico ha dovuto imparare a fare.

Perché il tempo non sia più diviso per quattro, ma moltiplicato. Per concentrare l'energia su ciò che conta davvero, dopo averlo scoperto.

Basic instinct


Fermata capolinea metro Linea Gialla, Milano.
Campagna "Progetto Integrazione" del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Raramente si offre da vedere una tale grossolana discriminazione e ignoranza.
Promuovere ciò che dovrebbe essere ed è ovvio, dimostrando solo che chi promuove la pensa diversamente, facendo leva su un regionalismo imbarazzante, primitivo, e su una gerarchia sociale offensiva.
Stia tranquilla Signora Brambilla, "essi" non mordono, anzi, in fondo possono tornarLe pure utili.

Intanto, tre metri sopra, in strada, camionetta dei soldati e auto della polizia pattugliano un quartiere abitato da "pericolosissimi" extra-comunitari.

Che abbia ragione il mio collega: come nei giochi di quando eravamo bambini: "ormai vale tutto".

Basic Instinct (2)


Perché cosa avevate pensato fosse qui a fare?

15 ottobre 2008

School's in!



Iota sottoscritti, properispòmene, enclictiche e proclitiche, insieme al fatto che da quando sono iniziati liceo e medie casa mia sembra ogni sera un gig degli Slipknot, sono scuse sufficienti a tenermi mio malgrado lontano - fisicamente e mentalmente - da questa tastiera.

Verranno tempi più leggeri.

08 ottobre 2008

Global galore













Oggi in ufficio non funzionava più la stampante di rete.
Ho dovuto parlare al telefono con un collega dell'helpdesk a Los Angeles per farla sistemare.

Hey man, my day starts when your day ends...

05 ottobre 2008

Franco Zaio - Cesare Pavese - Last Blues


Sono contento di prendermi il tempo di parlare del CD di Franco Zaio, contenente sette suoi brani composti su poesie di Cesare Pavese. Il CD si chiama Last Blues ed è pubblicato da Devega, distribuzione Venus. Qui si può ascoltarne qualche assaggio.

Franco con questo progetto dimostra di essere ciò che è: persona di grande energia che anima la vita culturale di Genova. Con una modestia e un continuo interrogarsi che gli fanno onore e che traspare ogni giorno dal suo animato e visitato blog o dai suoi sms aforistici con cui puntella e a volte sostiene le mie giornate e quelle dei suoi amici più vicini.

Per un genovese fa uno strano effetto ascoltare i versi Cesare Pavese cantati da un piemontese che vive a Genova. Come mettere il naso in qualcosa di privato che noi, gente abituata alla luce marina e al vento teso, non possiamo capire fino in fondo. Simile specularmente alla perplessità di un Paolo Conte di fronte ai lini e alle vecchie lavande nell’ombra dei nostri armadi.

Ho sempre letto Pavese con questa difficoltà a capire lo spirito piemontese che lo pervade. Solo quella parte di sangue piemontese che mi corre nelle vene sembra mettermi in sintonia con la dignitosa accettazione di un destino umano senza speranza e con una auto-disciplina che solo chi ha a che fare con il Piemonte e Torino può capire.

Il rischio di mettere in musica le poesie di Pavese sono note: l’effetto Fiorello che canta San Martino di Carducci è dietro l’angolo: quell’effetto che incastra forzatamente la metrica poetica dentro alla rigidità della forma canzone con un risultato che nel miglior dei casi è ridicolo, quando non offensivo per la letteratura tutta.

Questo non succede mai (a parte rarissimi casi) nelle canzoni di Last Blues. Con una abilità che non so se accreditare del tutto a Franco o se insita nella forma stessa poetica di Pavese, i versi si incastrano nelle strofe e nei ritornelli con grande naturalezza.

Le desolazione del verso pavesiano quasi contrasta con la dolcezza di un pop nobile, venato da influenze beatlesiane da una parte, ma anche e soprattutto Alternative. Si ascoltano ritmiche e bassi post-punk (Joy Division, The Church), riff alla Steve Wynn chitarre e artigianato alla Elliott Smith, ma su tutto vince sempre lo slancio melodico, quasi radiofonico, dei ritornelli. Bisogna concentrarsi sulle parole per sentirsi colpire allo stomaco, laddove la musica tende naturalmente ad una maggiore leggerezza che rende il tutto fruibile ma mai banale. Comunque sempre teso al cuore.

Zaio suona (quasi) tutto: voce, chitarra acustica, chitarra elettrica, basso, batteria, l’amato tamburello, organo e pianoforte. La cosa rende se possibile ancora più emerito il suo sforzo. Da segnalare anche la partecipazione di Andrea Frascolla con la sua Fender Strato in Come uno che si lasci cadere (il brano più rock) . Fondamentali i cosiddetti finali “suca”: finali “buttati lì”, a conferma dell’amore per la sintesi e l’odio per la prosopopea.

Qualche arditezza armonica e formale in più non sarebbe stata sgradita, così come mi auguro che Franco trovi più occasioni per stendere la sua bella voce, forse qua là un po’ arrugginita da un forzato non costante esercizio. Ma i piccoli nei scompaiono di fronte al coraggio dimostrato nel cimentarsi con un progetto di questo tipo e all’ottimo risultato complessivo: canzoni di grande spessore da ascoltare e riascoltare.